E così lo scemo 
    non sa. Non sa che sono uno squilibrato dai pensieri concatenati. 
    Concatenati come un’azione di Pedro Rivera il fuoriclasse. Il fuoriclasse 
    che adesso si avvicina alla rete avversaria. La rete avversaria che dovrebbe 
    essere difesa da De La Fuente il portiere. Il portiere che, miracolo, riesce 
    a prendere la palla. La palla, urla il commentatore, fuori campo, De La 
    Fuente ha preso la palla, ha stoppato l’azione di Pedro Rivera. Pedro Rivera 
    che fa un gesto di disappunto e avanti con la partita. La partita che 
    cattura l’attenzione di Italo l’idiota, il barista del piffero che mi prende 
    in giro. Mi prende in giro da quando gli ho detto che tifo per la Virtus. 
    Per la Virtus e non per il Real Costarica, la squadra di Pedro Rivera il 
    fuoriclasse. Il fuoriclasse che adesso ha ripreso la palla e sta per 
    compiere una nuova azione. Una nuova azione che ipnotizza Italo. Italo che, 
    l’altro giorno, mentre prendevo il caffè nel suo bar, diceva: “Dopodomani 
    c’è il derby finale, carino. Virtus contro Real Costarica.”
    “Virtus contro Real Costarica. E con questo?”
    “Matematico che Rivera da solo fa a pezzi la Virtus.”
    La Virtus non mi interessava tanto. Tanto che mi entra nelle tasche? Nelle 
    tasche non mi entra niente, ecco. Ecco però che Italo doveva sfottere, senza 
    sapere a cosa sarebbe andato incontro, e disse: “Domani chiudo il bar perché 
    non voglio seccature. Mi vedo la partita e mi preparo per la vittoria.”
    La vittoria, disse. Disse la vittoria con un sorriso da cretino. Cretino lo 
    è sempre stato e in quell’occasione lo fu di più, perché aggiunse: “Possiamo 
    fare una scommessa.”
    “Una scommessa?”
    “Scommetto che la tua Virtus perde.”
    “Perde, eh? Non mi piacciono le scommesse.”
    “Paura?”
    Paura, io? Io che sono forte quanto cento uomini, anche se non sembra, e che 
    ho fatto cose incredibili? Incredibili come ammazzare un culturista che 
    diceva che la Virtus era una squadra di mezze calze. Mezze calze quelli? 
    Quelli che potrebbero giocare per ore senza sudare? Senza sudare, ho messo 
    al tappeto il culturista da strapazzo e gli ho fatto vedere i sorci verdi, a 
    colpi di pesi. Pesi belli tosti, intendiamoci, mica gingilli. Gingilli come 
    quelli che ho usato invece con la bionda che mi aveva mandato in bianco. 
    Bianco come un lenzuolo e freddo come uno scienziato, l’ho fatta a pezzi con 
    il coltello e non l’hanno trovata. Non l’hanno trovata perché conservo i 
    resti in frigorifero. In frigorifero, dove c’è pure il farmaco che lo 
    psichiatra mi ha prescritto, dicendo che così gli attacchi sarebbero 
    cessati. Sarebbero cessati, ma non lo volevo. Volevo andare fuori di testa, 
    di tanto in tanto, in modo da sfogarmi se qualcuno fa il cretino. Fa il 
    cretino come Italo, e dissi: “Io non ho paura, d’accordo, e accetto la 
    scommessa. La scommessa è che se il Real Costarica vince, hai ragione tu e 
    quelli della Virtus non valgono un tubo.”
  “Eh, no, bello, è troppo facile. Se il Real Costarica vince, te ne vai in 
  giro per una settimana con scritto in fronte ‘Pedro Rivera è Dio e io sono 
  il suo profeta’.”
  Il suo profeta, si credeva. Credeva di essere divertente, l’imbecille. 
  L’imbecille che non sapeva con chi parlava. Parlava con un pazzoide che, per 
  inciso, non sa perdere.
  “Il suo profeta, va bene.” dissi.
  “E se perdo io, che succede?”
  “Succede che perdi la vita.”
  La vita, secondo lui, non era a rischio e si mise a ridere. Ridere è 
  l’ultimo rifugio dei deficienti che considerano un derby rilevante. 
  Rilevante, appunto, per i deficienti. I deficienti che, come lui, mi 
  invitano a casa loro per vedere la partita. La partita che stiamo seguendo 
  adesso, con il televisore ultimo modello, ad alta definizione. Alta 
  definizione che mi tortura con immagini di Pedro Rivera che sta di nuovo per 
  tirare la palla verso la rete avversaria. Rete avversaria che non mi pare 
  ben protetta. Protetta, per modo di dire, da Carlos De La Fuente, che la 
  Virtus ha ingaggiato per un sacco di soldi. Soldi sprecati, direi, perché, 
  maledizione, Rivera tira e stavolta fa goal.
  “Goal!” urla Italo, saltando dalla poltrona, manco avesse una molla nel 
  sedere.
  Sedere accanto a lui, nella tranquillità silenziosa di casa sua (che poi non 
  è silenziosa perché il volume della tele è al massimo) non è piacevole. Non 
  è piacevole come ammazzare quel moccioso che schiamazzava vicino casa mia. 
  Casa mia, immaginatevelo, che ho sempre considerato un santuario silenzioso. 
  Silenzioso come il bimbetto dopo che ha esalato l’ultimo respiro. L’ultimo 
  respiro di uno sgorbio invitato nel mio appartamento con un pretesto. Con un 
  pretesto che mi ha permesso di dirgli ‘stai facendo baccano e tua madre, 
  invece di lasciarti solo, dovrebbe badare a te, che sei un babbeo’. Un 
  babbeo che non ha avuto tempo di frignare, dal momento che l’ho affogato 
  nella vasca da bagno, tagliuzzato e dato in pasto al cane. Al cane che poi è 
  morto di indigestione, che sfiga.
  “Che sfiga!” urlo adesso, mentre, nello schermo, De La Fuente alza gli occhi 
  al cielo, disperato.
  Disperato, ascolto le parole concitate del commentatore che dice che sarà 
  l’ultimo derby per la Virtus, che mancano dieci minuti alla fine della 
  partita, e poi il Real Costarica vincerà il campionato. Il campionato dei 
  miei stivali che tormenta le menti degli scoppiati. Gli scoppiati che ogni 
  giorno ti tediano con chiacchiere da bar sport, discussioni, liti, e bla bla 
  bla calcistico che mi fa impazzire. Mi fa impazzire Italo ora, che saltella 
  come uno che balla male la macarena, che sghignazza, che mi guarda come se 
  fossi il più grande cretino sulla faccia della terra e che grida: “Pedro 
  Rivera! Pedro Rivera! Pedro Rivera!”
  Pedro Rivera che, il diavolo lo porti, ha preso di nuovo la palla. La palla 
  che, a quanto pare, ha un debole per lui. Lui che la tira di nuovo verso la 
  porta avversaria. Porta avversaria che, lo ribadisco, non è affatto ben 
  protetta da De La Fuente, il portiere da ricovero. Da ricovero sarei pure 
  io, secondo lo psichiatra (anche se non è al corrente dei miei omicidi), 
  specie quando mi arrabbio, specie ora con il Real Costarica che sta per 
  vincere l’ultimo derby. L’ultimo derby che, è ufficiale, è perso, non appena 
  vedo il secondo goal.
  “Goal!” urla di nuovo Italo. “Un secondo goal! Derby vinto e vinta pure la 
  scommessa!”
  La scommessa, già. Già, ma chi ha stabilito che devo accettarne le regole? 
  Le regole di un fesso che non fa che sfottere? Sfottere per una partita, 
  poi. Poi, dopo essersi calmato, mi fissa come se avesse a che fare con una 
  nullità, e dice: “Mancano cinque minuti ma è fatta lo stesso. Devo avere da 
  qualche parte un bel pennarello, caro il mio profeta.”
  Caro il mio profeta, mi dice. Mi dice questo, a me! A me, con i pensieri 
  concatenati, i ragionamenti folli, la pazzia veloce. Veloce come l’azione di 
  un calciatore abile. Un calciatore abile che fa sragionare tutti, tifosi 
  accaniti o distratti, vecchi o giovani, sani di mente o serial killer, non 
  fa differenza. Non fa differenza se ho perso la scommessa, tanto Italo non 
  vivrà per vantarsene. Per vantarsene nel suo bar, dove persino gli 
  scarafaggi non entrerebbero per lo schifo. Per lo schifo di vederlo ridere, 
  estraggo il coltello dalla tasca della giacca, e dico: “Il mio profeta del 
  cavolo, non mi serve un pennarello, ho di meglio.”
  Di meglio, sicuro. Sicuro come è sicuro che domani sorge il sole, lo 
  colpisco senza problemi, una volta, due, tre, ancora e ancora e ancora. E 
  ancora Rivera riesce a fare goal, proprio all’ultimo minuto. All’ultimo 
  minuto, prima di morire, disteso sul pavimento, in un lago di sangue, Italo 
  guarda lo schermo, negli occhi una vaga felicità, e biascica le ultime 
  parole. Ultime parole che, più o meno, fanno così: “Rivera... la 
  scommessa... il campionato... l’ultimo derby...”
  “L’ultimo derby, sì.” dico io.
  Io che ho perso la scommessa mentre lui ha perso la vita. La vita che di 
  solito non è giusta e corretta, a differenza di una partita. Una partita 
  giocata da calciatori e non da psicopatici. Psicopatici che, come il 
  sottoscritto, spengono il televisore, e dicono: “Sì, non dovevano spendere 
  tanto per De La Fuente il portiere. Il portiere che ci ha fatto perdere 
  l’ultimo derby.“
  L’ultimo derby si conclude con il buio nello schermo e me ne vado e penso 
  che, da domani, Italo non mi stuferà più con le chiacchiere sul calcio 
  perché, semplicemente, era troppo scemo e non sapeva. Non sapeva che sono 
  uno squilibrato dai pensieri concatenati. Concatenati come un’azione di 
  Pedro Rivera il fuoriclasse. Il fuoriclasse che ha fatto vincere il Real 
  Costarica.