Zombie Holocaust

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2011 - edizione 3

Erano fra la gente. Erano negli angoli delle strade, nei sottopassaggi, nelle stazioni della metropolitana, con gli anfibi sporchi di fango e i giubbotti di pelle, le teste rasate e quegli occhi gialli e malati che fissavano lo scorrere della vita lungo i marciapiedi. La gente fingeva d'ignorarli, camminando a testa bassa, evitando i vicoli più isolati, cercando di arrivare a casa il prima possibile. C'era paura, fili carichi di tensione correvano per le strade di Mosca e sui muri delle case le scritte zombie raus non si contavano più.

 

Karina cercava di trascinarsi nel fango, con la camicia di tela strappata e il sangue che le colava lungo le gambe. Ansimava, gridava, mentre la cosa tentava di uscire dal suo corpo.
Loro erano lì attorno, li vedeva fra i tronchi neri, nascosti dalla sottile pioggia che cadeva fra le fronde. La stavano guidando verso la vecchia chiesa di San Giorgio, sperduta fra i monti Altaj, ridotta ormai uno scheletro di legno carbonizzato. Quando Karina arrivò in cima al pendio e si vide davanti la chiesa capì che era finita. Grigoriy l'aspettava con un machete in mano. La prese per il collo e le piantò la lama nella pancia, squartandola come un maiale, lasciando che sangue e viscere scrosciassero sul fango. In mezzo a quella melma ancora calda, qualcosa di vivo si muoveva e iniziò a urlare.

I moscoviti erano al sicuro e al caldo nelle loro case, non c'era nessuno che osasse avventurarsi fuori in quella piovosa domenica. Verso le due del pomeriggio la quiete irreale della città fu rotta da un lamento, come la corda tormentata di un violino. Gli zombie iniziarono ad uscire dai loro nascondigli, qualcuno prese ad inveire e a gridare, altri scagliarono sassi contro i blindati della polizia. Alle tre, mentre sempre più numerosi gli zombie tentavano di marciare verso la Piazza Rossa, la polizia aprì il fuoco, disperdendoli in un bagno di sangue.

 

Ma la domenica di sangue fu solo l'inizio. Violenze esplosero la settimana seguente, mentre voci incontrollate parlavano di migliaia di zombie in marcia dalla Siberia e dagli Urali.
Il presidente Ulyanov, ormai alle strette, aveva deciso di armare i gruppi di estrema destra moscovita, che iniziarono subito i rastrellamenti mentre l'aviazione russa fu messa in preallarme.

 

"Che si fotta la Nato, questa è una cazzo di guerra e questo è il punto di non ritorno, cancelleremo gli zombie dalla Russia per sempre" aveva detto parlando alla radio in quel bunker ormai vuoto. I suoi fedelissimi si erano già uccisi, lui teneva la pistola puntata sotto il mento guardando dallo schermo la Piazza Rossa in festa. Cristo è tornato per salvarci dalla morte recitavano i cartelli, mentre soldati e ufficiali s'inginocchiavano al cospetto di quella caricatura d'uomo con le mani piagate dalle stimmate, lasciandosi mordere per ottenere la vita eterna. I suoi occhi fissavano vacui quel cielo solcato da missili nucleari. Il proiettile frantumò il sorriso sulla bocca del presidente Ulyanov.

Diego Magionami