Giana usciva dall'acqua

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2016 - edizione 8

Le mie gambe scesero giù da sole. Smise di ridere pure lei e si inginocchiò lentamente, prendendomi il volto tra le mani, lo avvicinò a sé. Le sue mani erano ferme e la bocca tutta nel bacio, scendendo sul collo, e la pancia. Ci provavo a sentire il sapore di quel miele caldo, ma ricordavo quanto male poteva farmi e quanto ne potevo fare io. La tirai su, tutta nuda e fresca, tenendola fra le mie braccia, la mia bocca era rimasta sospesa nell’incavo del suo collo: come desideravo poter assaporare ancora, prima del momento in cui non sarei stato più io. La misi giù delicatamente come una cosa preziosa, non potevo spiegare niente, per come mi tramavano le labbra.
Quel momento non era più per me.
E tale lo sforzo di non azzannare che sprofondai in uno stato breve di assenza.
Non sono mai riuscito a nutrirmi di carne umana. Quello che mi ha frenato è che se lo facessi, vivrei per sempre. Non così. Aspetto di morire, di sapere che morirò, come una liberazione.
Oggi mi ricordo delle cose, tipo che a volte Giana nuotava piano, come se navigasse. Mi ricordo che il suo corpo emergendo brillava di gocciole marine. Mi ricordo appena la sua voce.
Però la riconoscerei subito.
Ma per tanto tempo non sono riuscito a levarmi dalla mente quel pomeriggio.
Stavo uscendo dalla cabina doccia, e mi girai nuovamente verso di lei, le strappai la spugna dalle mani e me la cacciai in bocca, per placare i denti e allo stesso tempo per soffocarmi le lacrime giù per la gola “allora tu sei proprio grullo”, mi passò una mano sulla fronte febbrile. Io di rimando cacciai il volto tra le sue mammelle: incontravo il suo odore, che era di rovo ma anche di fumo e di parole amare. La spinsi per allontanarla e invece le cascai di sopra, con la spugna ora di traverso nella trachea, ogni respiro mi toccava richiamarlo dal fondo del cuore. Lei rideva, mi baciava anche stavolta, “non te ne andare” mi diceva, mentre io io smettevo di respirare quasi del tutto, alla fine stramazzavo su un fianco con gli occhi sgranati. Lei si inginocchiò accanto a me, così nuda sentivo un tepore venire dalle sue coscie dischiuse. Mi sfilò la spugna dai denti, le sue mammelle tentennavano dolcemente, il mio sguardo doveva essere supplichevole perché me ne porse una, come se fosse una panina calda. Mentre mi ci aggrappavo docilmente ormai sfinito sentivo il suo corpo bagnarsi, mi invitava a esplorare le parti più nascoste con le mani e con le labbra. Lei mi baciava di nuovo, piano, dolce , “sto morendo” mi diceva dolce, stanca.
“mangiamimangiami e fammi sparire”, il getto della doccia rimandava schizzi di luce che ballavano nei miei occhi, mi lanciai una mano sulla bocca e la morsi con tutta la forza, piangendo e gemendo, lei sorrise di rimando “scusa ti avevo preso per un altro”, l’incanto era la sua voce mentre si asciugava “scusa mi era sbagliata” ed era già vestita “non lo credevo tu fossi così simile ad un essere umano” ed era sparita.

Serena Imperiale

Ho incominciato a scrivere i racconti da questo inverno, mi è venuta la voglia da quando ho letto Manuale di scrittura emiliana-per non frequentanti, il cui autore scrive un blog, l'unico che seguo e a cui sono molto affezionata. Prima di natale mi sono regalata un breve workshop di scrittura gotica e dell'orrore, ho scritto qualche racconto in cui una persona estremamente razionale (una studiosa, un'antropologa, una psicologa) si trovava di fronte una creatura mostruosa. Invece questa volta ho voluto fare il contrario, raccontare la vicenda dalla parte del personaggio mostruoso e non umano, e devo dire che è stato molto commovente pensarci. Mi riprometto una lettura di Frankenstein.