Pan per focaccia

Quattro mesi fa Giulia mi ha lasciato.
Così, di punto in bianco. Una domenica sera stavamo passeggiando, quando mi ha guardato negli occhi e mi ha detto che non mi amava più. Stop, fine della storia. Mi ha spezzato il cuore.
Per i tre mesi successivi ho vagato tra l’ufficio e casa mia come uno zombie. Non riuscivo più a mangiare, né a guardare la tv. Ho provato a dimenticarla andando a letto con un paio di troiette conosciute in discoteca, ma non ha funzionato.
Non riuscendo più neanche a dormire, un mese fa ho deciso di non telefonarle più. Ho completamente tagliato i ponti, per vedere se si fosse preoccupata per me, prima o poi.
E’ successo una settimana fa. Guardo il cellulare di prima mattina e mi accorgo che mi ha mandato un messaggio. C’è scritto che è in pensiero per me e mi chiede se va tutto bene. Dopo tre giorni le ho telefonato. Le ho chiesto se le andava di vederci nel fine settimana per un aperitivo, una cosa veloce, per ricordare i vecchi tempi.

Dopo la vodka siamo venuti a casa mia. Adesso sono seduto in camera che guardo il letto. Sdraiata sopra, la donna che ho amato alla follia. Le guardo la pelle pallida, la pancia perfetta, i seni sodi, le labbra carnose, gli splendidi capelli corvini. Poi il mio sguardo cade sul buco che le ho fatto nel petto, che è così rosso scuro da sembrare nero. Mentre appoggio il paletto di frassino imbrattato di sangue sul tavolino, di fianco al martello, mi viene in mente quello che diceva sempre mia nonna quando qualche bulletto a scuola mi picchiava: rendi pan per focaccia.
E vedendo la disperazione stagnante negli occhi di Giulia, posso dire di esserci riuscito.
Le ho letteralmente spezzato il cuore.

Stefano Porta