Una sera qualunque 
    scesi in strada per gettare l'immondizia. Giunto all'imbocco del vicolo dove 
    risiedono i cassonetti, mi bloccai di colpo: alcuni bambini stavano 
    rovistando nei rifiuti. <<bimbi, ma che fate?>> esclamai. Si voltarono verso 
    di me e mi guardarono. Avevano gli occhi rossi. Poi sogghignarono e mi 
    mostrarono i loro denti fitti e aguzzi come piccole lame. Corsero verso di 
    me e mi assalirono. Ne colpii uno con un pugno. Con un calcio ne allontanai 
    un altro, poi raccolsi un bastone e con questo colpii un terzo alla testa 
    che cadde esanime. I bimbi si fermarono. Ora sembravano normali e si misero 
    a piagnucolare <<l'ha ammazzato, l'ha ammazzato>>. Da una finestra che dà 
    sul vicolo si affacciò un'anziana che urlò <<ASSASSINO! ASSASSINO!>>. In men 
    che non si dica la strada era piena di gente che mi voleva linciare. Fu il 
    tempestivo intervento di una volante a salvarmi.
    Mi ritrovai in un tribunale stracolmo di gente che inveiva contro di me. Le 
    invettive mi arrivavano distorte, come voci aliene mandate al rallentatore. 
    Ma la sentenza del giudice, vestito di rosso e con un ridicolo parruccone 
    ottocentesco, fu chiara: <<Francesco Guidi in nome del Granducato di Toscana 
    ti condanno a morte!>>.
Mentre le guardie mi portavano fuori gridai <<Ma 
  siete impazziti? Non esiste più la pena di morte!>>. Davanti ad una folla 
  urlante, fui portato su Ponte alle grazie. Lì mi fu legata una palla di 
  piombo ad una caviglia. Urlavo, ma non distinguevo più la mia voce dalle 
  grida della folla. Fui sollevato e gettato nell'Arno.
  Toccai il fondo. Riuscivo a respirare nell'acqua limpida. In cerchio, seduti 
  attorno a me, c'erano dei bambini con gli occhi rossi. Sorrisero. Dei 
  sorrisi normali, umani. Poi scoppiarono a ridere, una risata contagiosa che 
  coinvolse anche me.