Dove porta il fiume

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2010 - edizione 9

Usciamo dall'oscurità della macchia e camminiamo alla luce della luna sui ciottoli che ci dividono dal fiume. Si sente solo il rumore dell'acqua che scorre, e il suo odore di fresco.
Maria cammina impettita, il bambino che dorme stretto al petto.
- Forse... - inizio.
Mi interrompe con una semplice occhiata. Ne abbiamo già parlato, mille volte. Ma ho avuto mille ripensamenti.
Avrei voluto che mio padre ci fosse stato, a dirmi che le decisioni vanno prese una volta per tutte. Ma lui era in Australia, o almeno c'era quando ancora mi poteva telefonare.
Ci fermiamo a un metro dall'acqua. Maria scosta il bambino e lo guarda. Si sta svegliando. Muove appena le braccine e le gambotte.
Mi sarebbe piaciuto che mia madre lo vedesse, almeno una volta. Ma lei non lo vedrà mai, perché era in uno degli aerei del 24 giugno, di ritorno da una vacanza che ormai non avrà più fine.

Maria fa un mezzo passo verso l'acqua, poi si ferma. Fa un respiro profondo. - Non ce la faccio.
Le prendo il bambino. Devo farlo subito, o mi mancherà il coraggio. Avanzo nel fiume finché l'acqua mi arriva alle ginocchia. Sento la corrente sui polpacci.
Sollevo mio figlio per guardarlo un'ultima volta. È sveglio, ora. I piedini si muovono freneticamente. Troppo, per un bambino normale. Diventeranno sempre più veloci, fino a trasformarsi in eliche; le braccia si atrofizzeranno, le gambe si uniranno e il cranio si inspessirà. Sarà uno dei tanti bambini torpedo che infestano i mari, quelli che affondano le navi, che si lanciano in verticale dall'acqua per abbattere gli aerei. Che trinciano i cavi telefonici sottomarini.
Avremmo dovuto consegnarlo all'esercito, ma nessuno crede più alle vasche dove dicono di tenerli. Lo avrebbero ucciso.
Mi chino e lo lascio andare nel fiume.

Marco Migliori