“Io non sono il paziente tredici!”
    Sono queste le parole che mi girano in testa, ed è quell'unica frase che 
    ripete in continuazione John Smith, il paziente tredici, appunto.
    È buffo ma io e lui ed io abbiamo lo stesso nome.
    Un altra cosa curiosa è che il paziente numero tredici ha avuto una moglie e 
    due bambine che, all'epoca dei fatti, avevano la stessa età delle mie figlie 
    e di mia moglie.
    I “fatti” in questione, invece, non sono né curiosi né buffi. Sono 
    raccapriccianti.
    Quello che John Smith, il paziente, fece alla sua famiglia è indescrivibile.
    Un vero massacro.
    In quindici anni di psichiatria non ho mai avuto a che fare con un caso come 
    questo.
    John Smith è un uomo senza faccia. Si sfigurò il volto anni fa, prima che 
    arrivassi io, con i cocci taglienti dello specchio della sua cella.
    È un tipo violento. E schizofrenico.
    Però il suo aspetto mi è familiare, strano!
    Praticamente indossa sempre la camicia di forza ma ultimamente sembra 
    essersi calmato un po'.
  Forse gli elettroshock cominciano a fare effetto.
  Si lascia avvicinare ma continua a ripetere sempre e solo quell'unica frase.
  Adesso ricordo: ieri ero nella sua cella di isolamento per la solita visita 
  giornaliera.
  Non indossava la camicia di forza.
  Sembrava calmo.
  Forse gli inservienti si sono distratti un attimo e lui mi è saltato 
  addosso.
  “Io non sono il paziente tredici” disse mentre tentava di strangolarmi; poi 
  credo che lo abbiano fermato gli infermieri, non so...
  Io devo essere svenuto.
  Ma ora dove sono?
  Questa è una cella di isolamento? Sì, è quella del paziente tredici.
  Ma cosa indosso? Perché non riesco a muovermi liberamente?
  Osservo la mia immagine riflessa sulla superficie in metallo della porta 
  blindata: non può essere!
  “Io non sono il paziente tredici!”