Non ti scordar di me

Il vuoto lasciato dalle lacrime, il dolore bruciante di quelle parole che lei stessa pronunciava, l'amara consapevolezza di essere al mondo senza uno scopo. Si guardava allo specchio e si odiava. Si chiedeva perché non sapesse fare nulla, perché non fosse speciale anche lei. Non era brava in niente, e questo la deprimeva.
La sua migliore amica ballava, ed era brava. Sua sorella disegnava, ed era perfetta. Conosceva dei musicisti molto dotati, chi sapeva parlare bene le lingue, chi aveva una voce meravigliosa e cantava, chi sapeva aggiustare le cose, ed era utile agli altri. Mentre lei... Lei non sapeva fare niente.
Solo guardarsi allo specchio e piangere. Piangeva perché si odiava, ma più continuava a piangere, più si odiava perché lo faceva, perché era l'unica cosa in cui riusciva.
Lei non serviva a nessuno.
Voleva disperatamente eccellere in qualcosa, anche una piccola cosa, una cosa in cui sarebbe stata la migliore, qualcosa per cui l'avrebbero ricordata. Ma nessuno l'avrebbe fatto: in vita sua non aveva fatto nulla che fosse degno di nota.
Così se ne restava spesso in camera sua, seduta per terra, davanti allo specchio, a compatirsi, a guardarsi in faccia con disprezzo.
E quando non scrutava il suo riflesso, fissava il vuoto, come se stesse guardando dentro se stessa. Si sforzava di trovare un flebile bagliore, una scintilla da cui ricominciare a vivere. E forse l'aveva trovata.
Si alzò. Prese un foglio, una matita, ma non sapeva cosa scrivere. Si limitò a disegnare un fiore.
Lo faceva spesso, le piaceva disegnare, ma proprio non aveva talento. Pazienza, non le importava più.
Andò verso la finestra e la aprì, inspirò profondamente l'aria limpida e fresca della mattina. Erano appena le 7.00, c'era poca gente in giro, giusto qualcuno che andava al lavoro. Ma era abbastanza.
Fu un attimo. Salì sul davanzale, si sporse in avanti e si lasciò cadere, leggera e felice come non lo era mai stata.

Ora, sì, che sapeva fare qualcosa che gli altri non facevano: lei sapeva volare.
Il volo fu lungo, dal settimo piano fino al marciapiede.
Vide il suolo avvicinarsi veloce. Sorrideva. Sì, perché adesso era certa che qualcuno si sarebbe ricordato di lei.
Della ragazza che era morta, il cranio distrutto, il viso sfigurato. Tutti ne avrebbero parlato. Avrebbero parlato della sua vita, così vuota e insignificante, ma soprattutto della sua morte, terrificante, eclatante, spettacolare, incomprensibile agli occhi di molti. Si chiese se qualcuno avrebbe pianto per lei.
Quel che era certo era che qualcuno avrebbe urlato. Un metro allo schianto, un urlo terrificante le ghiacciò le vene, ma lei non poteva più fermarsi. Un suono cupo, la gente continuava a gridare. Lei non poteva più sentirli, ma loro, con orrore, continuavano a urlare. E certamente non l'avrebbero mai più dimenticata.

Fiorella Frau