Le fucilazioni

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2009 - edizione 8)

Gridavano. Ogni notte, stesi contro il muro dietro la casa padronale. Lo strazio delle loro urla era insopportabile.
Era cominciato tutto la sera dopo il suo arrivo alla fattoria quale nuovo padrone, unico erede del podere dello zio Francisco. Morto pazzo, avevano detto, ma lui neppure vi aveva fatto caso.
All’inizio erano stati solo mugolii appena percettibili, quasi dei rantoli. Aveva imbracciato il fucile da caccia ed era sceso in cortile.
La fattoria dormiva sotto una luna enorme e rossa. Nessun altro, tranne lui e i cani, avvertiva quella presenza. Aveva attraversato rapidamente l’aia girando attorno alla casa, ma non c’era anima, là. Soltanto un vecchio muro coperto di piccole sagome indefinite, proprio di fronte alla finestra della sua stanza. Era rientrato, inquieto.
La notte successiva, però, era accaduto di nuovo. Urlavano più forte, piangevano. Parevano voci di ragazzi, dietro i guaiti terrorizzati dei cani.
Allora aveva svegliato gli uomini e li aveva condotti con sé. Sopra il muro le macchie erano più nette, questa volta. Erano volti deformi, orbite vuote, bocche spalancate.
Li vedete anche voi, aveva strillato. Li vedete, quei demoni sul muro?
Gli uomini scuotevano il capo, perplessi.

Non c’è nulla sul muro, signore. Solo chiazze d’umido e muschi.
Ma loro, i giustiziati, avevano continuato a urlare contro la sua finestra, notte dopo notte. Li sentiva anche ora, i loro gemiti carichi di accuse; li vedeva, quei visi deformati dall’orrore, ogni volta che guardava di sotto; adesso il muro aveva cominciato a trasudare liquore rosso cupo dagli interstizi.
Dalla finestra, aperta, la luna entrava allagando la stanza di quello stesso colore. Non morirò pazzo come il vecchio Francisco, pensò l’uomo al contatto ripugnante del metallo del fucile nella bocca.
Fuori, un vento caldo che odorava di polvere da sparo gli portava alle orecchie l’eco delle raffiche.

Maria Galella