Erano
    fremiti sottili quelli che scorrevano lungo la schiena di Diana, la notte era lunga,
    incombente e rapace nel suo frinire al di là della finestra; e lei ascoltava in silenzio
    la malinconia di quegli attimi, rannicchiata in posizione fetale Diana lacrimava
    lentamente, la sua fragilità era un fatuo spettro di ciò che lei era stata un tempo,
    poiché la ragazza di quarantatre chili che giaceva in depressiva ascesa verso un gorgo
    fatale sembrava non essere dotata dumana movenza, le sue erano offese vestigia
    malate di vita, un piccolo, sottile mucchietto dossa che la brezza poteva sgretolare
    da un attimo allaltro, o almeno così pareva. Era stato infatti quel vento soffuso a
    ricordare alla pelle giallastra della donna quanto misero era lo spazio che la separava
    dalla morte, di cui stava lentamente assumendo le sembianze, il suo corpo era ormai uno
    scheletro lacrimante; così, con flemma inquietante Diana si mosse, era così leggera che
    chiunque lavrebbe presa per un fruscio, ma non sempre la leggerezza genera letizia,
    la sua era la grazia morbosa di un fantasma di dolore, Diana moriva tentando di vomitare
    il male che portava dentro.
    La voce, in un rauco sussurro si appiccicò alla sua pelle velata da un malarico madore.
    Hai ancora forza? Se è così vieni a nutrirti, vieni!
Io voglio morire! Sbiascicò lei con debole forza, in un tono di rassegnata
  disperazione, parlando alla voce che non aveva genesi fisica senza nemmeno alzare lo
  sguardo.
  No! Non è la morte che cerchi, è la vita, s', è la vita che ti è sempre sfuggita
  e ora tu la odi, la mastichi, la sputi, la dissacri profanandoti, la vomiti cercando di
  ucciderla, dolce cucciola, non sai che se ucciderai te stessa certo la vita non
  morirà?
  La voce dal laido timbro era da mesi oscura compagna di Diana, era la voce del cibo che la
  persuadeva con malia stregata.
  Non mi muoverò, resterò in silenzio in questo letto che sarà il mio sepolcro, vai
  via, sappi che non mangerò mai più!
  Che poetico angelo di passività che sei, ma io non cerco di sedurti amore mio, io
  so che è la tua sensibilità che spazia oltre le ali della notte senza essere compresa ad
  aver fame. So che desideri mangiare il mondo intero e vomitare la sua ingrata essenza, non
  umiliare il tuo corpo, a nessuno importa, destati Diana e nutriti!
  Le lenzuola erano irrorate dalle lacrime della donna, cadevano passive, opache perle di
  depressione lungo un volto il cui teschio era ormai orribilmente palese.
  Così Diana lentamente salzò, sconfitta per lennesima volta dalla voce, fu il
  languido sorgere di una creatura drammatica, ma quella sua fragilità evocava un soave
  poema, il corpo scheletrico, le costole sporgenti simili ad artigli interiori, le membra
  fragili come cristalli di dolore e che nonostante tutto, non mancavano duna languida
  seduzione, esplicata come un fruscio armonico dalle nude movenze di lei.
  Sempre lenta come uno spettro raggiunse la cucina, e la sua figura vacillante, così
  simile allo strascico dellagonia, fu inghiottita dal buio silente, ella apparve in
  quellistante come un filo dargento librato nella angosciante tenebra.
  Un vago tremore la accompagnava, quanto era debole quel corpo di fata malata, ma come una
  fiera ella savventò sulle vivande che la osservavano maligne sul tavolo, silenziose
  come il peccato.
  Diana non udiva i loro sussurri destarsi come un fosco battito dali, ella ascoltava
  solo il suono della propria masticazione, il suo avaro riempirsi di vita al fine di
  divenire morte, una cerimonia viziosa che annullava la sua coscienza.
  Diana cominciò a ingozzarsi in maniera innaturale, come un criminale folle che infierisce
  brutalmente sul corpo di una vittima appena uccisa; con occhi selvaggi la donna era rapita
  da una sorta di trance shamanica.
  Nessuno più di te merita la vita, nutriti, divieni forte, lo sai che voglio
  aiutarti, sono lunico che ti ama e comprende, hai fatto scempio di quello che era il
  tuo corpo vezzoso affinché loro ti notassero, volevi fargli scorgere la fragile poesia
  delle tue sensazioni, ma loro sono ciechi, non si accorgono nemmeno del tuo lento
  scomparire, il tuo svanire nei fili di questo calvario; se continuerai così un giorno
  diverrai così sottile da sparire tra le lenzuola, e loro non noteranno neanche questo,
  forse non ti cercheranno neppure, per sempre persa nella grazia sottile dei tuoi
  sentimenti!
  La voce del cibo scorreva lungo la sua gola come un bacio forzato, una sorta di stupro.
  Quelle parole, accolte con muta rassegnazione, erano tuttaltro che un conforto,
  Diana non poteva ammettere che la sua angelicata sofferenza fosse dovuta
  allindifferenza degli altri, lei voleva divenire diafana, mutare in qualcosa di
  sempre più sottile affinché neanche la voce del cibo avrebbe potuto mai più trovarla,
  neanche locchio sapiente e giusto di Dio.
  Ma la voce non cessava il suo scandire violente frecciate di persuasione.
  Cresci Diana! Divieni enorme, schiacciali sotto il peso della tua tangibilità!
  Divieni forza che offusca lo sguardo, non pallore malato e scomposto sugli arazzi consunti
  della tua depressione!
  No! Io sono una creatura astratta e sola, nessuno può capire, vai via maledetto che
  sporchi il nitore della mia purezza! Non puoi colmare limmenso vuoto della mia
  solitudine.
  La voce tacque, probabilmente poiché ciò che Diana aveva detto era vero, forse ella
  apparteneva realmente alla morte.
  Lei si accasciò e vomitò lenorme quantità di cose che aveva ingurgitato, se ne
  liberò con magica leggerezza, come se avesse sapientemente scacciato un oscuro spettro.
  Restò tremante e rannicchiata nel proprio vomito, sussultando di lacrime tenui come il
  respiro duna colomba, in terra giaceva la vita divenuta morte, ormai muta, ma Diana,
  mescendo le proprie lacrime al vomito pregava affinché quella materia acida e senza vita
  parlasse ancora, ma era troppo tardi, Diana aveva ucciso lunico suo compagno anche
  quella notte.