La via per il mare

Nonostante fosse la metà di maggio già faceva un caldo anomalo e soffocante: sia di giorno che di notte l’aria era ferma, stanca, odiosa... odiosa come quel giorno, come tutta la gente, come quel periodo della mia vita.
Già si avvertiva l’insopportabile, stupida euforia tipica di ogni inizio estate: “Ah, io con un tempo così vado al mare!” - “Almeno due giorni di mare non me li leva nessuno!” - “Il mare, la spiaggia, l’abbronzatura!... Ora sono il MUST!” - Queste erano le fesserie che mi stavo sorbendo da almeno dieci giorni da parte di colleghi, amici, vicini di casa, parenti e ragazze incontrate al pub dalle quali, forse un po’ ingenuamente, mi aspettavo qualcosa di più che una bevuta insieme.
Quel venerdì mi svegliai già in ritardo, fermai la sveglia e decisi di non andare a lavorare. Telefonai in ufficio ed avvertii chi di dovere che, causa imprevisto, avevo bisogno di un giorno di permesso. Rimasi poi in silenzio nel letto fissando il soffitto e, respirando profondamente, cercavo di stabilire un qualche contatto con quella serpe che mi stava mordendo dentro: lei mi aveva lasciato ed io mi sentivo solo...

Mezz’ora dopo ero già in strada con la barba di tre giorni e senza sigarette. Rovistai nella tasca destra ed estrassi le chiavi della macchina: quel maledetto Bmw usato che mi aveva dato un sacco di problemi e che dovevo ancora finir di pagare!
Mi passarono davanti tre ragazze formose che discutevano entusiaste dell’imminente gita al mare mentre poco più in là, dal cortile di un condominio, un’auto con a bordo una famiglia in “tenuta balneare”, si apprestava a partire per una breve villeggiatura. D’un tratto, dal fondo della strada, un branco di adolescenti in sella a scooter e moto, sfrecciarono via cantando: “Tutti al mare! Tutti al mare!”.
Erano poco meno le dieci di mattina, con già 29 gradi all’ombra, quando imboccai l’autostrada deciso a raggiungere il mare.
Francamente mi stupii nel vedere da lontano il centro commerciale, stracolmo di gente in ogni giorno dell’anno, irrealmente deserto ed immobile. La città stessa, mentre a poco a poco si allontanava, assumeva le sembianze di un relitto alla deriva nella caligine.
Stranamente non trovai traffico e notai che i pannelli elettronici con i consueti avvisi erano spenti. Dopo mezz’ora di viaggio e di altre anomalie, decisi di fermarmi al primo autogrill per un caffè e per il rifornimento di sigarette. Ne trovai uno, piccolo e semideserto: “Anche tu al mare, eh? Giornata ideale!” - disse sorridendo la barista mentre strappava lo scontrino. Era mora e con occhi verdi molto intensi, i modi calmi e gentili... la guardai e sorrisi ma non avevo voglia di parlare.
Risalito in auto notai per caso che da un’altra vettura parcheggiata a pochi metri, un’altra ragazza mora dallo sguardo intenso mi guardava e mi sorrideva... non ci badai, il ricordo di lei mi faceva ancora male!
Ripresi il viaggio e man mano che proseguivo verso il mare mi sentivo sempre più confuso, più ingenuo, più leggero. Alla radio, la musica seguiva uno strano programma: prima l’attuale musica commerciale, poi i successi degli anni ottanta, poi la disco-dance anni settanta...
Passai per un posto, lungo l’autostrada, ove dovevano esserci delle fabbriche ma queste non c’erano più e superai un vecchio svincolo che adesso sembrava appena aperto... Non capivo, non riuscivo a capire!
Intanto fuori incrociavo o superavo prima vecchie Golf, Alfette e Fiat Regata e poi ancora Fiat 128 o Citroen “Due Cavalli”: da una di queste auto, un bambino seduto dietro, non appena mi vide cominciò ad indicarmi e a ridere.... ormai ero quasi arrivato al mare.
Giunto al casello non trovai l’uscita col Telepass e dovetti utilizzare quella con il casellante:
“Buongiorno. Purtroppo non ho il biglietto perché sono entrato con il Telepass e poi... A proposito, ma che le avete tolte le uscite col pagamento automatico?” - domandai incuriosito porgendo all’uomo una banconota da dieci euro - “Ciao, Simone. Come stai? - mi disse gentilmente e con un gran sorriso - “Questi soldi non vanno bene... Comunque è lo stesso, non preoccuparti. Passa, vai pure!” - la sbarra si alzò ed io partii sgommando. Solo dopo qualche minuto riuscii a ricordare quel volto: era il casellante che incontravo sempre quando, da piccolo, andavo al mare con i miei e che spesso scambiava qualche veloce chiacchiera con mio padre mentre pagava il pedaggio.
Passato il casello, il paesaggio diventò brullo e desolato, non tirava un alito di vento e su tutto un silenzio irreale. Il cielo si fece plumbeo e il caldo aumentò. Davanti a me un immenso spazio ed un nastro di nero asfalto che continuava all’infinto. D’improvviso, come in un immenso ingorgo, rottami di automobili e furgoni in fila ove all’interno si intravedevano scheletri umani.
Fermai la macchina e scesi: ovunque guardavo mi si presentava sempre la solita scena, i soliti rottami, le solite ossa ed il solito grigio... non avevo paura, ma mi sentivo tanto, tanto solo...
Poi una voce, forse un sussurro ed una lieve brezza tagliò l’aria solida. Mi voltai e vidi una donna a pochi metri da me: vi riconobbi subito la barista e la ragazza dell’autogrill con i soliti, indimenticabili, intensi occhi verdi... li potei ammirare ancora per un poco, fino a quando furono sostituiti dalle due orbite vuote del teschio della morte che ormai, gentilmente, mi aveva ghermito.

Edoardo Cicali