Il marchio della strega

Ricordo ancora la prima che feci ammazzare: si era rivelata particolarmente ostinata e, nonostante le torture, non aveva confessato. Lessi più e più volte il verbale dell’interrogatorio: i racconti dei testimoni e il segno sul suo corpo non lasciavano dubbi. Così la mandai al rogo, senza misericordia. Lo sapevo con cristallina certezza: quella donna era una strega.

 

Il mio nome è Heinrich Kramer, e sono un inquisitore. Tutti mi chiamano Institor, la versione latina del mio cognome: venditore ambulante. Entrai giovane nell’ordine dei domenicani, famoso per il rigore e la disciplina.
Il mio compito è quello di scovare ed eliminare il demonio. Ho raccolto i miei precetti in un libro, che ho chiamato, con un’inventiva di cui vado ancora fiero, Malleus Maleficarum. Il martello delle streghe.
Ora che sono vecchio, voglio raccontare quel primo caso che mi capitò molti anni fa, in una diocesi del Tirolo, quando ancora ero giovane e la compilazione del Malleus era di là da venire.
Era dicembre, e le nevi avevano coperto il paese. Fui convocato all’alba: una levatrice era accusata di avere ucciso un neonato, affinché non ricevesse il battesimo e fosse reclutato nell’esercito di Satana. Ciò che rendeva delicata la situazione era il rango della puerpera, moglie del conte Klaus von Witten.
L’aula in cui si teneva l’interrogatorio era buia, come io desideravo, affinché presagisse alla femmina dannata l’oscurità nella quale sarebbe piombata. Ricordo che gli scranni erano pieni, e che l’evento aveva richiamato uomini e donne dai paesi vicini. Ricordo il conte Klaus, ammantato delle sue vesti più sontuose, e la corte dei nobili della città, con i loro volti di marmo.

Soprattutto, ricordo lei: la strega: capelli neri come la notte, la figura agile e snella, occhi grandi e fiammeggianti d'orgoglio. Non fui sorpreso che il Demonio avesse deciso di albergare in una donna tanto attraente. Sapevo che il Malefico sceglie con cura le sue adepte, prediligendo le femmine più seducenti, in grado di indurre in tentazione anche i santi.
Fui fiero di me: conservai freddezza e rigore.
Per prima cosa, volli sentire l’accusa e chiesi al conte von Witten di riassumermi i fatti.
- Reverendo Padre, abbiamo convocato la sua augusta persona per ottenere l’unica giustizia possibile: quella di Dio - iniziò il conte - la mia famiglia governa queste terre da molto tempo. All’età di venti anni, secondo le consuetudini del mio casato, scelsi una sposa tra le mie cugine di sangue nobile. Non potevo scegliere meglio, perché Mariette, la mia consorte, è sempre stata una donna devota. Purtroppo, il Signore non ha voluto allietare i primi anni della nostra unione con la nascita di un erede. Questo fu fonte di sofferenza per me, ma ancora di più per la mia sposa. Passarono gli anni, come dicevo. Alcuni mesi fa, mi diede la notizia più bella: era finalmente gravida e un erede sarebbe presto arrivato! Quello che non sapevo era che Mariette per riuscire nel suo scopo era ricorsa ai malefici di una strega.
- Durante la gravidanza ci furono dei segni del maleficio operato dalla strega?
- No, reverendo Padre - si affrettò a rispondere il conte - il periodo dell'attesa fu sereno, nessun segno premonitore di quello che poi sarebbe accaduto. Il giorno della nascita, quando mia moglie cominciò ad avvertire i dolori, mi disse di chiamare la levatrice. Io seguii le indicazioni di Mariette: non sapevo che la donna che mi aveva indicato come levatrice era la stessa strega che la aveva aiutata a concepire...
Von Witten indicò con il dito la femmina, muta e immobile sul suo scranno.
- Chi era presente al momento del parto? - chiesi, prendendo nota sul mio verbale.
- Solo mia moglie e la sua dama di compagna, la signorina Mathilde.
-Proseguite con il racconto del parto, eccellenza - incalzai il conte.
- Io non so cosa accadde al momento del parto, so solamente che quando entrai trovai la levatrice che sorreggeva il corpo di mio figlio... morto!
Von Witten crollò in un pianto disperato. Guardai l’accusata, che non palesava alcuna emozione.
Ordinai che fosse portata al banco della deposizione Mathilde, la dama di compagnia della contessa Mariette. Quest’ultima, mi avevano detto, non parlava e non mangiava più dal momento del parto. Si temeva per la sua vita e non era certamente in grado di parlare.
- Le vostre generalità, signorina.
- Il mio nome è Mathilde Steiner, reverendo Padre.
Mathilde era una ragazza dimessa, piccola di statura. Il viso sarebbe stato anche gradevole se non fosse stato per la presenza di una macchia viola che le copriva il naso e, come una farfalla, spiegava le sue ali a coprirle le guance.
- Voi sapevate che la contessa Mariette era ricorsa all’aiuto della strega per concepire?
- Oh, sì, Padre, lo sapevo - disse la dama. - Anzi, fui io a consigliarla. La contessa era disperata. Io la portai nella bottega della levatrice. Le donne del paese spesso ricorrono ai suoi rimedi...
- Per quale genere di problemi?
- Alcune chiedono pozioni per rimanere gravide, come la contessa. Altre hanno bisogno di rimedi per lenire le proprie regole, se troppo abbondanti o dolorose. Altre ancora, se hanno già numerosa discendenza, possono desiderare di interrompere una gravidanza. Poi ci sono le donne che desiderano rimedi per i lombi stanchi dei mariti... per rinvigorirli... - Questa ultima affermazione suscitò un mormorio tra i presenti.
- Quando la contessa si confidò con la levatrice - continuò Mathilde - costei aprì le ante di una bacheca di vetro, piena di alambicchi con polveri strane. Prese alcuni grani da una ampolla, li sciolse in un liquido e consegnò alla signora Mariette una fiala con dentro una sostanza vischiosa.
- E non aggiunse altro? - la ragazza parlava a singhiozzo, necessitava di essere pungolata continuamente e cominciava a stancarmi.
- Sì, reverendo Padre. La strega spiegò come usare la pozione: disse alla contessa che, appena la luna fosse stata nuovamente piena, avrebbe dovuto applicare la pozione alla sua natura, internamente.
Sapevo che natura era un modo falsamente pudico per intendere il sesso femminile.
Mathilde raccontò che al momento del parto, secondo le disposizioni della contessa, aveva convocato la levatrice. Questa era accorsa al capezzale della puerpera; tutto sembrava essere andato per il meglio, ma nessuno aveva sentito piangere il bambino. La levatrice aveva ordinato con concitazione che le fosse portato un coltello, ma la richiesta aveva pietrificato Mathilde. Solo dopo un attimo di esitazione, si era allontanata per andare alla dispensa. Tornata nella stanza, aveva trovato la levatrice in lacrime, con uno spillone sanguinante in mano, e il neonato morto.
Era calato il silenzio. Decisi di porre alcune domande alla levatrice.
La donna si parò dinanzi a me, la schiena dritta e l’atteggiamento fiero.
- Mi chiamo Heike Richter. Sono una levatrice, come mia madre e mia nonna, e come tutte le mie ave. Ho aiutato molte donne della nostra terra a divenire madri, e nessuna mai si è lamentata del mio operato. E’ vero: la contessa Mariette è ricorsa ai miei consigli per rendere fertile il suo grembo. Io le ho somministrato un preparato che modificasse lievemente i suoi umori, che in talune donne possono essere troppo acidi e rendere ostile il ventre al seme maschile.
- E riguardo alle accuse di infanticidio?
- Non commisi nessun delitto: il bambino era nato con giri di cordone intorno al collo. Volevo tagliare il cordone per salvare il bambino. Non vedendo comparire Mathilde, ho cercato di usare lo spillone che tengo tra i miei ferri...
- Bugiarda! - tuonò Mathilde, sputando verso la levatrice. Fui impressionato nel vedere tanta veemenza in una creatura così dimessa. - Ti ho visto conficcare lo spillone nella testa del bambino, laddove le ossa non sono ancora chiuse. L’hai ammazzato, strega!
In realtà, sul corpo del neonato non era stata rinvenuta alcuna ferita riconducibile all’atto di cui Mathilde diceva di essere stata testimone. Sapevo bene, tuttavia, che il demonio opera con modalità a volte incomprensibili ai mortali e che la perforazione prodotta dallo spillone poteva essersi richiusa per sortilegio.
La folla fu colta come da un furore incontenibile e si levarono grida contro la levatrice. Tutti la volevano morta. Dal mio canto, conclusi l’interrogatorio e ordinai che la facessero confessare.
- Ma se non confessa, reverendo Padre? - domandò il conte, con espressione preoccupata.
- Eccellenza, con la tortura, tutti confessano. Prima o poi.
Ancora non lo sapevo, ma mi stavo sbagliando.

 

Passarono tre giorni, e la donna non confessò.
Decisi di andare a visitare la creatura dannata nella sua cella. La trovai riversa sul pavimento, con i vestiti stracciati, il volto tumefatto.
- Confessate - le ingiunsi.
La donna non sollevò neanche lo sguardo. Mi resi conto che quella donna stava aspettando. Aspettava il Demonio, che venisse a congiungersi carnalmente con lei per indurla al suicidio. Se si fosse tolta la vita, se non avesse sperimentato il rogo purificatore, la sua anima sarebbe scesa negli inferi e si sarebbe unita al Diavolo suo sposo.
Non potevo permettere una conclusione tanto fallimentare della mia prima inchiesta. Allora, colto da un’irrefrenabile veemenza, la sollevai, denudandola completamente. Il suo corpo era liscio e bianco come l’alabastro, nonostante le torture.
Se non mi fossi congiunto con lei, sarebbe intervenuto Satana, e io avrei perso l’opportunità di consegnare una dannata alla Giustizia. Con forza, le aprii le cosce. Fu allora che vidi il segno: una macchia bianca vicino al suo sesso. Il segno che Satana lascia sulle sue adepte, dopo averle reclutate. Il marchio del demonio.
La donna mi guardava con le sue iridi di bitume, come pozzi su un’anima vuota.
- Voi siete stata marchiata da Satana, femmina malefica! -
Considerai che disattendere al voto di castità fosse secondario alla necessità di cacciare il maligno. Così sollevai il saio, e la presi. Con soddisfazione più morale che carnale.
Quando tutto fu finito, la guardai. Non parlava, non piangeva. Sembrava una statua.
- Non lamentatevi, donna. Il seme di Satana è freddo come il ghiaccio. Io vi ho salvato.
Non c’era la confessione della strega, è vero. Ma c’erano le testimonianze, e il segno sul suo corpo. Tutti la volevano morta. E io li accontentai.

 

Ora che sono vecchio, sento che feci la cosa giusta. I miei occhi, pur se coperti dal velo lattiginoso della senescenza, vedono cose che prima mi sfuggivano.
E’ freddo, qui, nella mia stanza. Hans, il mio novizio, deve aver lasciato la finestra aperta, o forse è stato il vento, che sta soffiando così forte.
Sento dei passi. Hans... sei tu?
Una presenza accanto a me. Allungo le mani, nell’oscurità, per sondarne il volto. E vedo, con il tocco delle mie dita, e riconosco. Riconosco le labbra piene, la pelle di alabastro.
- Sei tu, sei venuta. Cosa vuoi da me?
Come allora, quando la presi con forza nella cella, non mi risponde. Ma, nel silenzio, percepisco assordante il suono dei suoi pensieri.
- Ciò che è diverso, non necessariamente è cattivo. Io non ho mai fatto del male. A nessuno.
- Sposa di Satana, lungi da me!
- Sono anche io una creatura di Dio.
Perché hai atteso tanto per consumare la tua vendetta?
E la voce, dentro la mia testa, mi risponde.
- La clessidra del tempo si è consumata. Non è vendetta, ma Giustizia.
Sento il freddo del metallo penetrarmi nel cuore.

 

Il novizio Hans sentì un grido, e accorse nella stanza del Venerabile, come ormai tutti chiamavano Padre Kramer. Gli si presentò una visione raccapricciante: il vecchio rugoso e nudo, con uno spillone conficcato nel cuore. La finestra era aperta: forse un ladro era entrato e aveva tentato di rubare qualcosa. Comunque, sembrava improbabile che un uomo querulo come Padre Kramer avesse ingaggiato una lotta con un malvivente.
Il Venerabile era molto noto, e i vertici della Chiesa non vollero scandali. La questione fu messa a tacere, e si dichiarò che il vecchio inquisitore era morto naturaliter.
Segretamente, ci fu un’inchiesta. Ma il colpevole non venne mai trovato.

Luca Filippi