Maria

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2008 - edizione 7

La trascinavano a strattoni lungo la strada polverosa. Il padre e i fratelli, le loro donne dagli occhi gonfi, erano una piccola folla di ghigni feroci e bestemmie strascicate tra i denti marci.
Maria smarriva lo sguardo nerissimo nell’ennesimo sogno mentre si lasciava portare, ignara d’ogni male, il ventre teso sotto le vesti già troppo strette per i suoi dodici anni. Il paese intero, ai margini della via, seguiva quel corteo sibilando cattive sentenze.
Il giovane prete s’affacciò sulla soglia della chiesa, richiamato dal vociare rabbioso, carico di accuse, degli uomini, dalle urla stridule delle vecchie. Non ebbe il tempo di chiedersi che cosa stesse accadendo. La folla gli si scagliò contro, accanendosi su di lui con sassi e bastonate, in preda a un furore disumano.
Maria spalancò gli occhi al vuoto, scorse visioni che già aveva conosciuto, l’apocalisse mostruosa della sua mente.

Cadde il silenzio intorno, ma per un istante. Poi furono solo urla atroci e i corpi che prendevano fuoco dall’interno, contorcendosi in danze furiose e deliranti, per poi crollare al suolo in brandelli arroventati di carne, accartocciandosi come braci, mentre cenere tornava alla cenere.
Restarono infine lei e il deserto. Il vento torrido passò sul suo viso una carezza paterna, diradò come fumo la visione estatica. Maria tornò in sé. La terra ancora scottava, attorno, ma lei non la sentiva sotto i passi scalzi.
Si diresse verso la chiesa, entrò. L’odore dolciastro di fiori decomposti coprì quello della carne bruciata. S’avvicinò alla signora della quale aveva il nome, un guizzo come di vita in fondo all’addome interruppe - un attimo - il silenzio che da sempre si portava dentro. Capì. Aggrappata alla madre delle madri, Maria posò la testa bruna di bambina su quel grembo di gesso. E piansero sangue, insieme.

Maria Galella