Damon Gallagher in "Il canto di morte"

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2008 - edizione 7

Avevo appena finito di ammassare l’ultima pietra sulla sua tomba, quella notte la succhia sangue non avrebbe trovato un posto dove andare a dormire. Mi nascosi dietro un muretto nel cimitero alla periferia di Waterford. Tutti credevano che fosse morta durante l’incendio alla chiesa, io invece sapevo che era tornata. Non si fece attendere molto, bella in vita come nella morte, demoniaca e letale. Per me era il primo incontro con quella specie, per lei sarei stato l’ultimo incontro e basta. Come si accorse di quanto avvenuto cedette in ginocchio di fronte alla propria fossa e lì, con la ferocia che spesso mi accomuna agli esseri che sono abituato a cacciare, uscii lentamente allo scoperto e da dietro, impugnando un palo di legno robusto e nodoso al quale avevo fatto la punta, la colpii al centro della schiena fino ad infilzarla a terra.

Mi ricordò per un attimo quando da piccolo in campagna da mia nonna infilzavo con uno spillone i ragni ai tronchi d’albero. Conoscevo bene l’aggressività di quegli esseri e sapevo bene che con loro eccedere nella violenza dava più garanzie per la propria sopravvivenza. Con le mani annaspava in vano per sfilarsi da terra e per togliersi il palo dal torace mentre ancora spingevo per incassarlo meglio al terreno. Sentii un urlo straziante provenire dalle mie spalle. Tenendola ferma per il palo conficcato nel dorso mi voltai in giro ma non vidi nessuno. Senza emettere un gemito alzò di poco la testa, dallo squarcio nel petto riversava tutto quel sangue che aveva succhiato quella notte, e con un filo di voce disse: “Ciò che odi è il keening della mia banshee che piange per me, per l’ultima volta”.
Non so se mi doveva dire altro, ma con il machete gli recisi di netto la testa.

Simone Censi