Non si disturba il sonno dei morti

Da parecchi giorni in paese non si parla d’altro che del camposanto. Nessuno vi si è più recato, o almeno la maggior parte della gente superstiziosa. Le autorità cittadine hanno liquidato la faccenda accusando dei - passatemi il termine - “fantomatici” vandali irrispettosi.
Eppure so che non centra nessun buontempone o chissà chi. Io sono la causa di tutto.
Ripensare a quei momenti mi fa rabbrividire però ho deciso di raccontarvi ugualmente la mia storia.
Penso abbiate sentito, almeno una volta nella vita, la diceria secondo la quale recitando il Padre Nostro o l’Ave o Maria al contrario, davanti ad uno specchio a mezzanotte, sia possibile vedere il diavolo, gli spiriti o assistere ad eventi misteriosi. Io ci ho sempre scherzato su ma paradossalmente non avevo mai tentato nulla in proposito, frenato da qualcosa che mi diceva “non si sa mai...”.
Comunque, qualche sera fa mi trovavo un po’ alticcio, anzi diciamo pure molto alticcio. Con i miei compagni di bevute, alcuni molto più sbronzi di me, decidemmo di tornare a casa a piedi.
Per strada fu proposta una scommessa, forse comune a tanti gruppi di amici un po’ beoni: passare qualche ora al cimitero. Il premio era composto da parecchie banconote da cinquanta euro e mi proposi subito come partecipante, l’unico.
Giunti al camposanto scavalcai il cancello e cominciai a camminare tranquillo tra le lapidi. La luna piena e i ceri avvolgevano il luogo con una gradevole luminosità delicata.

Il cimitero di paese è praticamente diviso in due: una parte più antica e monumentale, piena di lapidi color grigio piccole e grandi, semplici o elaborate, e una zona più moderna con tanti corridoi di loculi dai marmi bianchi e puliti. Mi diressi in uno di quei corridoi e colsi l’occasione di cercare i miei cari estinti, se non altro per perdere tempo. Non vi nascondo di aver rabbrividito un poco vedendo gli sguardi dei morti nelle foto. Un paio di volte mi sono addirittura voltato per accertarmi che non stessero seguendo i miei passi.
Dopo essermi trattenuto qualche minuto decisi che era giunto il momento di riscuotere il mio premio. Guardai l’orologio: era mezzanotte. Fu allora che ripensai senza volerlo alle dicerie circa le preghiere al contrario, lo specchio, la mezzanotte e via dicendo senza contare, tra l’altro, che la sbronza mi aveva reso abbastanza temerario. Facciamo un tentativo, pensai.
Non conoscevo molte preghiere ma il fatto di trovarmi in un cimitero mi suggerì L’Eterno Riposo. Ricordai ogni parola e la scrissi sul cellulare.

 

L'eterno riposo dona loro,
o Signore e splenda ad essi la luce perpetua.
Riposino in pace. Amen

 

Durante la digitazione cominciò a soffiare il vento che portò scricchiolii e rumori sommessi. La brezza andava e veniva. Nonostante i brividi finii di scrivere e dopo alcuni secondi di indecisione iniziai a recitare:

 

Nema. Ecap ni onisopir.
Auteprep ecul al isse da adnelps e erongis o,
orol anod osopir onrete’l.

 

Negli attimi seguenti non accadde nulla. Silenzio.
Il vento soffiò di nuovo, questa volta più forte, e il frusciare dei cipressi esplose di botto facendomi sobbalzare; poi una la cappa di silenzio si rimpadronì del cimitero.
Non nascondo il fatto che il cuore avesse cominciato a battermi più veloce. Mi guardai nervosamente sentendomi un idiota: cosa sarebbe dovuto accadere se non rendermi ridicolo?

 

Mi voltai di scatto verso la parete di loculi dietro di me. Le candele ardevano placide e i volti dei defunti fissavano il vuoto sorridendo come sempre. Tutto tranquillo insomma nonostante avessi udito di sfuggita qualcosa di strano.
La mano prese a tremare e io la ignorai cercando di farmi forza, dando la colpa ai brividi provocati dalla fresca brezza notturna, poi riudii il suono; proveniva dal loculo di - non ricordo il nome - un tizio con i baffi neri e i ricci.
L’unica parola per definire quel rumore è “lamento soffocato”. Davvero, sembrava un lamento o forse è meglio dire un grido, attutito dalla bara e dal cemento.
Non ci furono attimi di incertezza: anche se avessi voluto credere di essermi sbagliato, di aver confuso gli scricchiolii dei rami o lo stormire delle foglie, nuovi e sempre più indiscutibili lamenti provenivano dalla tomba. Sembrava ci fosse qualcuno di “vivo”, sofferente.
Il tremore alle mani si estese anche alle gambe e mi veniva difficile allontanarmi o per lo meno scuotermi da quello stato.
Alle prime grida di dolore se ne aggiunsero altre, provenienti dagli altri loculi, tutte soffocate ma ugualmente udibili. Riconobbi pianti, singhiozzi, e parole confuse. Inoltre, ora che ci penso, ricordo di aver sentito addirittura dei colpi, come se i corpi si stessero agitando dentro alla bara, in un disperato tentativo di fuga.
E’ stato terrificante.
Dopo non so quanto e come mi sono ritrovato a correre per i vialetti del cimitero, a scavalcare il cancello e a tornare a casa. Non ho neppure dormito.
La sera seguente venni a conoscenza di un particolare, quello per cui al solo parlarne tutti si facevano il segno della croce: i visi dei morti nelle foto avevano tutti un’orribile espressione di dolore, deformata all’inverosimile. Addirittura l’inchiostro si era quasi sciolto contribuendo a dare un aspetto ancor più terrificante.
Solo alcuni loculi presentavano tale anomalia e cioè quelli davanti ai quali avevo recitato la preghiera.

 

* * *

 

Ieri sono andato al cimitero e con timore ho preso i nomi di chi ho fatto soffrire. Suona strano, vero? Ho fatto soffrire dei morti. La mia intenzione è di far celebrare una messa di suffragio e sperare di farmi perdonare.

Fabrizio Serra