Fondo

Mi domando perché doveva capitare a me. Di incontrarli, dentro i loro trench neri, organismi privati dell’anima, celati da una maschera di pallore cadaverico, specchio delle loro vittime. E sentire la loro presenza farmi effetto sui pantaloni, caldi di urina. Sapete, passavo da queste parti, dico io, come per giustificarmi: avevo voglia di uscire, di sgranchirmi un po’, fare una passeggiata in questo piccolo parco assediato da enormi alveari di cemento armato. E dal silenzio.
E’ chiaro che sono proprio Loro: mi domando quante coppie se ne vadano in giro con una collezione di armi da taglio in una valigia, ora a “bocca aperta” sul terreno, mentre Lei scruta il suo interno e pensa al da farsi, infilandosi un paio di guanti chirurgici.
Oppresso dalla forza di gravità dell’orrore, peso una tonnellata per gamba: ammetto che non hanno sprecato molte energie per immobilizzarmi.

Quando avranno finito con me, ritorneranno nella loro tana. Comincio a pensare che sia un loculo di appartamento in un palazzone di questi, cresciuti come giganteschi funghi di periferia. E’ un posto così triste... Il piano (s)regolatore si è preso lo scalpo della campagna, infilandole a forza una cuffia di cemento.
Mi avranno puntato da una finestra, come dei cecchini. Io ero quaggiù, solo, nel parco. Dove cadono le foglie. Sopra, corrono le nubi in cielo. Sfiorano le case. Corrono in terra, nell’acqua sporca che riflette il loro viaggio verso sud. Corrono anche i secondi. I decimi. I centesimi. Il parco con le case intorno è fermo invece. Deserto. Nessuno vede. Nessuno avrà visto nessuno. Quando le nubi in cielo corrono, il parco rimane indietro.
Con me.
Loro.
E il loro servizio di posate.
Può darsi che alla fine (la mia) io riesca a sollevare i miei piedi d’acciaio, per sfuggire alle imminenti operazioni sul mio corpo nudo. Precisione chirurgica.

 

Quando avranno finito con me, potranno ritornare nella loro tana: un loculo di appartamento in un palazzone delle case periferiche, sorde, mute e cieche. Risaliranno le scale, serenamente (quante volte, mi domando, lo avranno già fatto...). Si abbracceranno, penso, di tanto in tanto. Si tasteranno con ingordigia.
Lasceranno la ferocia, fuori.
Dietro i rami sottili degli alberi che paiono morti, corrono le nubi. Prima guardavo lassù, fra le nuvole e anche un po’ più in basso, contando quante sono le luci accese tra gli occhi neri delle case che dormono. Buchi di appartamenti dove gente è sveglia, e dorme.
Il vento di tramontana muove le ombre degli alberi, che paiono morti. Appaiono e scompaiono le ombre delle foglie che cadono.
Sì, immagino che essi provengano da uno dei tanti “cubi oculari” delle case attorno a me. In alto, sono ombre che spiano dietro il vetro. Respiri stampati sul vetro, che guardano giù, le panchine bagnate. Le altalene bagnate. E ferme. Il fango a cielo aperto. Ombre in una camera di luce gialla, sotto vetro. Mattonelle macchiate delle loro ombre magre. Le case rimangono intorno. La gente, intorno. Dietro le porte, oltre il suono dei campanelli sporchi. Le cosce fasciate dai jeans si arroventano a contatto col termosifone. Non si può fare a meno di guardare giù.
Di guardare quaggiù.

 

Posso affermare di aver già visto (Loro) la mia Morte Violenta. Sono costretto ad assorbirla da un po’, indirettamente. Nelle prime pagine dei giornali che sporcano le dita. Nei tg grandguignoleschi, sadici cantori di ogni loro impresa: e le graziose giornaliste che si masturbano sotto il tavolo del loro studio televisivo mentre leggono le news. Ci scommetto.
Il primo della serie è stato un vecchio: un barbone trovato senza orecchie, senza mani e senza piedi in riva al fiume. Svuotato pure dell’anima: la (car)cassa di risonanza di uno strumento rotto e buttato via.
Ho provato a cambiare canale, ma Loro restavano, sovrapposti ai cartoni, a MTV, come nelle trasmissioni disturbate.
Il secondo, anzi, la seconda, era una giovane insegnante di liceo, trovata in un cassonetto con la faccia che sembrava modellata col pongo da un artista che, per qualche oscuro motivo, aveva poi cominciato a disfarla.
Ho provato ad acquistare un altro giornale, che so, una rivista di quelle che campano di pubblicità: poche notizie, molta carta utile per imballare: ma anche lì c’erano Loro, sorridenti, in mezzo a computer di ultima generazione, creme rassodanti, concorsi a premi... Attraverso la mia mente indebolita ero già partecipe della loro body art.
La terza vittima era un giovane di colore, scomparso da tempo: il corpo, o meglio, la sua testa era stata rinvenuta sul ciglio di una stradina di campagna, a una decina di chilometri dal centro; era stata recisa con una o più armi da taglio molto piccole.
Ho spento la tele, ho smesso di passare in edicola, e di girare in Rete anche. Niente. Loro c’erano, c’erano sempre: dietro le porte, sotto i cuscini, nello specchio, dentro il water.
Poi i macellati si moltiplicarono, come i pani e i pesci.
Di Loro si sapeva soltanto che erano due, e avevano una grande passione in comune.

 

Tutti e tre facciamo un gran silenzio; siamo di poche parole. La mia Morte è un copione già scritto: un servizio mandato in onda di nuovo, tale e quale. Piango senza far rumore.
Non mi credereste se vi dicessi che già sento i loro denti, le loro carie, le loro lame nella mia carne, come pioggia in terra (e presto pioverà di nuovo, con impeto mai visto).

 

Quando avranno terminato le loro operazioni su di me, potranno ritornare nella loro tana: un loculo di appartamento in uno di questi orribili casermoni periferici, sicuramente. Si strapperanno i vestiti neri di dosso. Si leccheranno con gusto, ripensando al disfacimento. Dei due, la Femmina si riempirà fino allo stomaco di carne dura e pulsante. Dei due il Maschio di sentirà beatamente esplodere dentro...
... E tutti avranno immagini di schifo con cui tappare gli occhi già chiusi, visioni di macelleria, arti inzuppati di squarci ridenti.
Diverrò anch’io, presto, una eiaculazione dolorosa.

 

Posso vederli quando hanno disceso le scale, calando gli anfibi sporchi sui gradini che, uno dopo l'altro, restavano indietro, mangiati dallo scuro. Il ritmo dei passi rapidi e decisi sulle rampe di scale. Il cambio di tempo sul pianerottolo. Tutto era comunicato. Fino in alto. Fino in basso.
Ma non fin qui, fra i cespugli del parco.
La quiete delle fondamenta delle case. La quiete dei tetti. Sulle teste della gente che rimane indietro (Il cielo sta ancora correndo). Gli anfibi sporchi. Le case, e il Buio che è dentro. Di Loro. Di me. Un colore, uno soltanto. Quello della Morte.
E fuori, qui fuori, alla luce del giorno tutto pare normale: sopra, un quadro ad olio di nubi sul parco fermo. Il gelo che è al posto dell'aria. Il volo del vento fra i loro lunghi capelli neri, danzanti sui visi cerei.
I loro occhi riflettono il cielo.
I loro occhi riflettono il parco.
I loro occhi riflettono le case.
I loro occhi riflettono la gente.
Nessuno vede. Nessuno avrà visto.
Io vivo, ancora per poco, dentro le loro pupille.
Corrono i secondi. E i loro capelli che si muovono come serpenti. Capelliserpenti di serpenti. La malta che cede lentamente sotto il peso dei loro corpi. Descensus ad Inferos.
Loro e io siamo qui.
Manodopera e materia prima.
E non mi credereste se vi dicessi, che già li sento deglutire, in apnea nel mio lavabo interiore. Scarico tappato di viscere. Affondare le loro mani. Rovistare. Campionare pagine e pagine di creazioni/stimolazioni.
Mangiare, forse.
Ruttare.
Loro sono la Morte (ermafrodita) con la falce. La mia, per oggi.
Il parco rimane intorno. Le case intorno. Le madri e i padri intorno. I figli intorno. Consumando cene, telegiornali, vite intorno.

 

Ora si avvicinano, col prolungamento tagliente dei loro arti.
Tempo, una manciata di secondi, e mi diranno: prova a fare il morto; ti terremo noi, a galla nel tuo sangue.

Maurizio Landini

Maurizio Landini (classe 1972) scrittore, musicista, illustratore. Innamorato dello splatterpunk italiano, ha iniziato a scrivere racconti di horror estremo e noir nel 1993. Le sue storie brevi sono presenti in diverse riviste on-line e cartacee come il Foglio Letterario di Gordiano Lupi. Ha vinto diversi concorsi come recentemente la quarta edizione del Premio letterario nazionale "Space Prophecies".