Uccidi e lascia uccidere

Mi ritrovo a contemplare il suo corpo nudo illuminato dalla luce della luna.
Dorme tranquilla, nel letto di casa sua, sul quale ha consumato i piaceri della carne con me, l’uomo maledetto. L’oblio del sonno le dà una espressione dolcissima. E’ davvero stupenda. E anche a letto non se la cava affatto male. Se il sesso fosse il mio vizio, sarebbe una amante perfetta.
Uccidere tuttavia è una droga molto più potente. Un vizio mille volte più malefico del fumo, del sesso e dell’alcol messi insieme. Ho ucciso più di dieci ragazze, nell’ultimo anno. Ogni volta, ammiravo lo spettacolo di fronte a me come un pittore ammira la sua opera d’arte conclusa. Ed ogni volta, dopo essermi pulito le mani, mi promettevo di smettere, di non andare avanti con quel gioco perverso. Ma dopo qualche settimana, il bisogno si ripresentava, impellente. Una vera e propria astinenza. Allucinazioni, ansia, inappetenza. Se volevo vivere, dovevo uccidere. E stanotte mi getterò nel vizio, di nuovo.
Mi spiace. Stanotte dovrò uccidere qualcuno. Ed è toccato a te. Accarezzo delicatamente la sua pelle morbida, causandole piccole scosse di piacere nel sonno. Ammetto che un po’ mi sento triste, nel sapere che il mondo avrà una donna meravigliosa in meno, domani mattina. Ma la tua ingenuità è pari solo alla tua bellezza: sei stata tu a trascinarmi in casa tua, desiderosa di una notte di follia con un uomo qualunque. Non so cosa volevi dimenticare, o quali aspri sentimenti dovevi sfogare nel sesso, e nemmeno li saprò mai, ma la tua notte di follie l’hai avuta comunque.
Contemplo ancora un poco il suo corpo. Lo vedo bello, pulito, perfetto. Una dea. L’istante dopo, il suo corpo senza vita, coperto di sangue, straziato da lunghe coltellate, che gorgoglia il suo ultimo respiro. Il mio cuore accelera i battiti. Come ipnotizzato guardo il letto schizzato di sangue, le budella del suo corpo scomposte sopra di lei, la gola recisa che schiuma parole di terrore. Una scarica di adrenalina mi corre nel corpo. Ansimo dal piacere. Un attimo dopo, il suo corpo è di nuovo intatto, sul letto candido, avvolto in un dolce sonno.

Mi ritraggo, ancora ansimando. Deglutisco, la gola secca per l’impazienza. Sono pazzo, sono completamente pazzo. Hai fatto un grosso errore a portarmi a casa tua, amica mia.
Mi alzo dal letto con attenzione, senza svegliarla. Mi dirigo in cucina, dove appena 3 ore prima lei mi ha offerto da bere, maliziosa. Trovo un lungo coltellaccio, appeso ad un chiodo sopra il lavabo. Impaziente, lo agguanto con la mano tremante. Luccica nel buio come una scintilla di paura nel cuore. Con passo svelto mi dirigo in camera da letto. Accarezzo il filo metallico della lama, ed una nuova scarica di adrenalina mi scuote il corpo. Canticchio tra me una canzoncina mentre mi accingo ad entrare. Inizia il vero divertimento, ba...
Un attimo di paura.
Non c’è sul letto... Dove è andata?
Qualcosa di freddo mi si appoggia al centro della schiena.
BLAM!
Il mio sangue dipinge le pareti di vermiglio. Un incendio mi si accende nello stomaco. Rimango un secondo interdetto, paralizzato, sorpreso. Poi il terrore mi esplode in corpo. Barcollo in avanti, annaspando. Guardo le mie budella che cercano di uscire dal mio corpo, desiderose di vedere la luce. Frenetico, cerco di tenerle dentro con le mani. Mi volto, cercando la fonte del mio dolore.
Una bellissima ragazza mi osserva, dall’alto in basso, un sorriso di piacere sul volto che la rende ancora più bella.
Sento il sapore del sangue in bocca.
Mi accascio a terra in ginocchio, le mani sul buco nello stomaco. Le forze mi abbandonano il corpo. Tutto si fa più leggero, anche il dolore. Solo la paura di conoscere la morte rimane. Quel terrore dell’ignoto che rimane fino in fondo. La guardo per un’ultima volta, mentre mi punta la pistola alla testa. E mi parla.
- C’è spazio per un solo serial killer, in questa città. Spiacente.
La osservo attonito, grosse macchie scure che invadono il mio campo visivo, il sangue che mi cola copioso dalla bocca. Poi ripenso ai giornali, al terrore suscitato dall’ondata di omicidi dell’ultimo anno, e al fantomatico serial killer a cui si dava la caccia. Venti vittime in 12 mesi.
Ma i conti non tornavano. Io ne avevo uccisi a malapena una dozzina. C’era qualcun altro, lo sapevo. Speravo in un collega tuttavia, non un avversario.
Peccato.
Guardo con un sorriso amaro la canna della pistola che mi si para davanti al mi viso. A quanto pare anche chi è dalla parte dei cattivi deve stare attento a chi è più cattivo di loro.
L’eco di uno sparo è l’ultima cosa che sento, in questa vita.

Andrea Montagna