Una nuova vita

Triste giornata grigia. Freddo. Alberi spogli lungo il viale. Nessun rimpianto.
Tra gli alberi secchi del giardino, appariva tetra.
Spalancai il vecchio cancello ad una nuova vita. Varcai la soglia e mi fermai intimorito, quasi indeciso. Mi voltai, e i miei pensieri mi confermarono di andare avanti.
Ero stanco della mia vita precedente, volevo liberarmi per sempre dai miei tormenti, dall’eterna solitudine, dalla noia, dagli amici che non avevo, dalle ore che non passavano mai, quelle pesanti lancette che scandivano il lento scorrere del tempo...

Mi ero privato di tutto ciò che possedevo; ho venduto la mia piccola casa in quel triste paese isolato e sperduto, dimenticato anche da Dio. Mi sono liberato dell’arredamento e dagli oggetti che mi appartenevano, colmi di tristi ricordi ed ho lasciato i miei pochi amici senza annunciare la mia partenza. Sono stato un po’ egoista, lo ammetto, ma sono certo che non mi cercheranno, non hanno bisogno di me. Ho cambiato modo di vestirmi, pettinatura, gusti ed abitudini, é come se avessi cancellato una parte della mia vita, e da oggi ricomincio da capo.
Sono qui, solo io e le chiavi della mia nuova casa.
Che ad essere sinceri ha poco di nuovo, ma non potevo permettermi di meglio.
Ho impiegato molto tempo a prendere questa decisione, a mio giudizio troppo. Spero non sia tardi.

 

Camminai lentamente lungo la stradina colma di foglie accartocciate della stagione precedente e mi avvicinai al portico della casa.
Lisce colonne di marmo bianco.
Gelide, sorreggevano un terrazzo formando un portico. Mi trovai davanti ad una grande porta in legno consumata da vite precedenti. Essa era decorata con intagli barocchi e i suoi vetri erano protetti da inferriate arrugginite decorate da fronzoli, foglie e fiori di ferro.
Non esisteva più ombra di dubbio dentro me, perciò credendo che fosse la giusta scelta inserii la chiave nella serratura, la girai, e con una mano strinsi il pomello d’orato anch’esso consumato dalle molte mani che prima di me aprirono la stessa porta.
Cigolio. Tutto buio. Polvere.
Quando trovai finalmente un interruttore, senza stupore m’accorsi che la corrente era staccata.
Trovare una casa simile ad un prezzo così, lo ritengo comunque un buon affare.
Percorsi il buio atrio per poi ritrovarmi in un altro locale appena illuminato dalla luce che penetrava dalle fessure delle persiane. M’avvicinai alle grandi finestre, le aprii e spalancai le imposte scrostate e consumate dalle stagioni.
Fasci di luce pallida invasero il soggiorno. Apparvero lenzuola bianche.

 

Cominciai a scoprire dalle lenzuola gli antichi mobili riscoprendo lo stile neoclassico.
Il grande soggiorno era illuminato da una grande vetrata ornata da pesanti tende in velluto.
Al centro un enorme tavolo di legno scuro con otto sedie dallo schienale a forma di lira, dal soffitto pendeva un lampadario a candeliere colmo di gocce di cristallo di Boemia. Dal lato opposto della sala c’era un grande mobile a due corpi con le ante superiori in vetro, nel quale erano riposti i servizi per imbandire la tavola. Nell’altro angolo del soggiorno, davanti al caminetto incorporato in una libreria su un tappeto erano posati due grandi sofà imbottiti accompagnati da un tavolino. Tramite un’arcata si raggiungeva la cucina.
Finalmente, nascosto dietro ad un quadro rappresentante una natura morta trovai il pannello elettrico e con un clic le luci s’accesero.
Tutto sembrò più accogliente.
La casa era gelida. Accesi il camino.
Prima di portare in casa i miei miseri bagagli decisi di dare una pulita, quindi in un armadio a muro nell’atrio trovai il necessario.
Andai in cucina con il secchio per riempirlo d’acqua.
Accesi il rubinetto.
Una fitta allo stomaco.
Non credevo ai miei occhi. Ero terrorizzato.
Dal rubinetto al posto dell’acqua sgorgava un liquido rosso. Rosso sangue.
Acqua ruggine, che in pochi minuti ritornò pura e cristallina. Dopo aver dato una stracciata al pavimento di marmo bianco, ritornò splendente, lucido e gelido come una volta.

 

Uscii a prendere i miei bagagli che erano ancora in automobile. Nevicava.
Salii con la mia valigia colma d’abiti nuovi la scala in legno. Il piano superiore era costituito da un servizio e da due grandi camere da letto, una con la terrazza che dominava la facciata della casa, l’altra guardava sul retro.
Scelsi la prima, sembrava la più confortevole e luminosa.
Essa era arredata in stile impero con un letto doppio a barca che assomigliava a quello di Napoleone. Mi piaceva.
Il tempo sembrava non passare. Fuori calava la sera.
Un’occhiata veloce al mio orologio da polso. Non funzionava. Le sue lancette si erano fermate all’ora del mio arrivo, le sedici e trentasette. Strano.
Più tardi, mentre fissavo i leggeri fiocchi di neve dalla vetrata del soggiorno intravidi una finestra illuminata, prima di questo momento non mi ero accorto dei vicini.
Una sagoma femminile scostò la tenda. Sono certo, il suo sguardo cadde su di me, come il mio su di lei. Poco dopo la luce si spense. Mi ritirai a letto.

 

Il giorno seguente quando spalancai le persiane della camera, per mia meraviglia e stupore splendeva il sole. La neve colava dagli alberi. Mi chiesi come ciò potesse accadere ma dentro me non trovai alcuna risposta. Indossai un paio di pantaloni neri ed una camicia bianca, andai in bagno a sistemarmi poi scesi in cucina per la colazione. Poco dopo uscii di casa per una passeggiata, quando spalancai la vecchia porta notai che la neve era sparita completamente e il giardino era tutto fiorito, le magnolie rosa adornavano gli alberi che il giorno prima apparivano spogli, i peschi erano in fiore, i raggi del sole erano caldi e l’aria profumava di primavera. Stupito, m’incamminai lungo il viale.
Tetti spioventi. Porticati. Giardini. Molte case assomigliavano alla mia, ma di persone nemmeno l’ombra.

 

Rimorsi? Pentimenti? Solo l’illusione dell’impatto dei primi giorni... credo.
Quando rincasai il clima era sempre più caldo e i rami fioriti si erano gia ricoperti da folte foglie. Approfittandone della calda giornata dopo un sostanzioso pranzo indossai un costume e mi sdraiai a prendere un po’ di sole proprio nella parte del giardino dove la mia misteriosa vicina di casa avrebbe potuto scorgermi dalla finestra.
Di lei nemmeno l’ombra. Mi distrassero alcune pesche vellutate e profumate che pendevano dai rami di un’albero vicino. Ne assaggiai una. Deliziosa.
Poco dopo m’addormentai sotto il caldo sole.
Brivido. Vento. Mi svegliai.
Il sole era sparito, il clima era fresco e le foglie degli alberi si erano colorate con tinte dal giallo al rosso. Infreddolito mi ritirai in casa e cominciai a chiedermi in quale posto mi fossi trasferito.
Com’era possibile che in un solo giorno erano trascorse quattro stagioni?
Dopo aver indossato un paio di jeans, un maglione ed un cappotto mi precipitai dalla mia nuova vicina di casa a chiederle una spiegazione.
Bussai ad una porta simile alla mia.
S’aprì. Apparve una ragazza molto giovane attorno alla mia età.
Bella, alta e snella. Sorriso smagliante. Boccoli rossi. Sguardo attraente.
Mi salutò cordialmente e m’invitò ad accomodarmi in soggiorno.
Dopo una breve presentazione...

 

“Per quale motivo le giornate sembrano così lunghe? E cosa sono questi cambiamenti climatici improvvisi ?”chiesi.
“Ecco... tu come me, e come tutti gli abitanti di questo viale ti sei trasferito qui per la tristezza e la solitudine che provavi dove vivevi prima... e così sei finito nella quarta dimensione, il tempo.”disse la giovane donna mutando espressione.
“Allora è per questo motivo che il mio orologio da polso non funziona più?”
“Si può dire di sì, qui non esiste il tempo per il semplice fatto che ci siamo dentro!” esclamò la ragazza.
“Non capisco?” chiesi.
“Ora ti spiego, sei finito in un luogo dal quale non potrai mai più andartene, quello che oggi ti è sembrato un semplice giorno, nel resto del mondo è trascorso un anno. Il tuo corpo ha reagito come se fosse passato un giorno, quindi rimarrai giovane e bello molto più a lungo della vita reale!”
“Voglio andarmene da qui, non voglio rimanerci per i prossimi secoli!” esclamai disperato.
“Non potrai, o meglio tu potrai, ma gli altri non potranno né vederti né sentirti, tu non esisti più per loro, te ne sei andato, questa è stata la tua decisione, è tardi ora!”disse tristemente posando la tazzina sul tavolo in vetro.
“Sei certa che non ci sia soluzione?” chiesi.
“Non esiste nessuna soluzione, ci ho già provato molte volte, ho rivisto la mia famiglia, è stato spaventoso, dopo solo un paio di mesi che mi ero trasferita qui sono morti tutti. Se te ne andrai da qui, soffrirai per ciò che vedrai. Rassegnati!” disse la ragazza asciugandosi le lacrime con un fazzoletto.
“Dimmi, ma ora tu ti senti ancora sola come prima?”
“No, qui potrà sembrarti strano, ma una volta che ti sarai adattato al luogo e conoscerai tutto il viale ti troverai benissimo, te lo assicuro. Infondo quando te ne sei andato dalla tua vita precedente, sei partito con l’idea di dimenticare tutto, vero?”
“Penso di sì...” dissi dubbioso.
“Dimentica chi ti ha considerato una nullità, chi non ti ha dato amore e affetto, chi ti ha odiato e fatto del male. Piuttosto ricorda le persone del tuo nuovo viale, conoscile, sono tutte splendide e in passato hanno provato i tuoi stessi sentimenti, ma da quando hanno cominciato a vivere qui non si sono mai sentite sole. Qui ogni vicino aiuta l’altro senza chiedere nulla in cambio!”
“Ci proverò...”
“Questa sera, io e tutto il vicinato ti abbiamo organizzato una festa di benvenuto...”

 

Il campanello della porta suonò...
Mi svegliai. Freddo. Indossai un accappatoio e scesi le scale.
Dalla finestra la neve cadeva copiosa come la sera precedente.
Mi fermai davanti alla porta, poi, esitai prima d’aprire e mi chiesi chi potesse essere.
Forse la vicina...
Un respiro profondo e spalancai la porta...
Era solo il postino.

Jonathan Della Giacoma