Come una volta

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2007 - edizione 6

Al crepuscolo uscì dalla tomba e s’aggirò per il cimitero in cerca di prede. Vide un uomo con un mazzo di fiori. Colse l’ironia del contrappasso mentre gli spappolava il cranio con una pietra. In vita era stato un bravo chirurgo e aveva salvato molte persone, ora gli uomini erano il suo cibo. E la speranza per riabbracciare sua moglie. Era sicuro, l’amore per lei l’aveva fatto ‘tornare’ dopo lo schianto con l’auto, ma il suo corpo iniziava a decomporsi. Si toccò una pustola sul viso, provò ribrezzo verso se stesso e non voleva certo inorridire l’amata. Aveva un’idea per fermare il processo degenerativo.
Afferrò il neocadavere. Aveva voglia d’assaggiarlo, ma resistette, non doveva infettarlo col suo morso. Raggiunse il ‘laboratorio’, una vecchia cappella abbandonata. Voleva strappargli cuore, fegato, polmoni, reni, milza per sostituire i propri organi malati. Per questo si fanno i trapianti: per guarire.
Un rumore di passi lo distolse.

Qualcuno doveva averlo visto e lo stava seguendo. Un’ombra, tra gli alberi, si avvicinava. Afferrò un ramo e aggirò la figura. Randellò la testa e la sagoma cadde all’istante, sparpagliando rose rosse. Poi sentì quel suo cuore morto attorcigliarsi come un vecchio straccio. In una pozza di sangue riconobbe i lineamenti dell’amata. Si chinò, con gli occhi vitrei che sembravano inumidirsi, e ne sentì il respiro sempre più flebile. Si avvicinò alle labbra per baciarla, ma si bloccò. Ammirò la bellezza della moglie, ancora incontaminata dalla corruzione della morte, così in contrasto con la ripugnanza del proprio corpo putrescente. Baciarle la bocca avrebbe suggellato il culmine abominevole di quell’antitesi. Sospirò serrando le palpebre. Le riaprì e la baciò sul collo. Le diede anche un morso, piccolo. L’infezione non ci avrebbe messo molto a trasformarla. Quando si fosse svegliata allora sì che l’avrebbe baciata sulle labbra. Come una volta.

Paolo Carpenella