Aldo ha gli
    occhi umidi. Nudo, nel mezzo di una foresta, appeso per i piedi a un gancio arrugginito,
    ripensa alle vacanze appena trascorse nell'alto casertano, alle risate schiette dei
    villici tracagnotti, all'atmosfera bucolica delle sagre di paese dedicate a santi ed
    animali d'ogni sorta, il più delle volte sacrificati all'altare dei turisti sotto forma
    di fellata e grassi arrosticini.
    Aldo trema per il freddo e la paura. Ha fili di bava che gli colano sul viso dove una
    donna mostruosa, emaciata e pallida, dallincipiente quanto innaturale peluria, ha
    fatto scivolare una lingua famelica irruvidita da bozzoli amorfi simili a pustole, prima
    di strappargli a morsi il dito medio e parte del flaccido bicipite, per poi sedersi a
    masticarli avidamente.
  In lontananza, Aldo sente le grida di dolore e le preghiere di uomini trasformati in
  bestie da macello e scorge, nella notte illuminata dai falò, la danza lasciva di creature
  semi-umane, ebbre di alcool e sangue, rapite dalla musica di stridule tamborre alla quale si uniscono grugnendo.
  Aldo è alla sua ultima sagra. Quella di cui bisbigliano gli anziani contadini di
  Roccamonfina nel loro criptico vernacolo. Quella, si dice, inaugurata dalla prole di un
  allevatore psicopatico e zoofilo, innamorato della sua scrofa, capostipite di una razza di
  demoni cannibali proliferata nellincesto.
  Aldo perde i sensi respirando gli effluvi della brace. Indifferente al rumore assordante
  dei festeggiamenti, un cinghiale sbucato pigramente dalla tana gli si fa incontro
  sfoderando le zanne e comincia a divorargli la mano mutilata lappando il sangue fresco,
  così partecipando, ignaro, alla sagra delluomo.