9 ottobre

Vincitore del concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2007 - edizione 6

Pensavo che la cosa peggiore che poteva capitarmi, fosse ciò che era successo a Marietto, quello che era caduto dal ciliegio. Era rimasto paralizzato dal collo in giù e poteva muovere solo le palpebre. Siamo andati a trovarlo per un po’, ma ogni volta sgranava gli occhi e piangeva. Così non siamo andati più.
Prima di quella volta, pensavo scioccamente che il peggio che poteva capitarmi fosse essere lasciato da Irma, ma da quando l’ha fatto, tre anni fa, a malapena ci ripenso, quando a messa c’incontriamo.
È che io non riesco ad aver paura di morire.
Nonna Imelda ha cercato di spiegarmelo, una volta, ma la mamma l’ha zittita.
- Al ge lo dirè cuant c'al sarà pi grant! - le ha gridato, ma io un po’ avevo già capito.
Voleva dirmi che io non posso morire. Nemmeno di fame.

Non so se è del tutto vero, ma sicuramente sono diverso dagli altri.
A tredici anni sono scivolato nell’orrido dietro casa, ruzzolando fino a valle e rimanendo praticamente senza vestiti.
A sedici, per scommessa, mi sono tuffato nel lago, la notte di Capodanno, e ne sono uscito due giorni dopo.
A diciassette sono finito sotto la Lancia Flavia di Don Erminio; tre giorni dopo, sotto il torpedone delle cinque e dieci.
Due mesi fa, mentre tornavo dall’osteria per la discesa grande, ho preso in pieno la scrofa dei Monticoli e gliel’ho uccisa. La Lambretta era irriconoscibile, così sono scappato, e come tutte le altre volte, non mi sono fatto niente.
Solo stasera ho capito cos’è peggio della morte.
Passeggiavo sotto il diluvio, sulla riva nuova del lago, osservando l’enorme massa d’acqua, che oscillava come un mare di buio. Poi dal Toc, su in alto, ho sentito uno schianto terrificante. Una frana, ho pensato, prima di essere sepolto dall’intera montagna.

Raffaele Serafini