Sete

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2007 - edizione 6

Spuma del mio essere, che trabocchi e mi soggioghi con promesse di sangue. Oh, anima mia, ti sento, che mi chiami e mi sussurri! Devo farlo. Prenderle la testa, tra i capelli biondi, annusare il suo odore, che sa di paura.
Sento la carezza del suo sguardo, avverto il gelo della morte nel suo cuore.
E il suo collo! Bianco... come neve appena posata.
Un tempo ti avrei amata, rispettata, protetta. Non guardarmi così, non sopporto quegli occhietti che guizzano impazziti come per sfondare le orbite e scappare da me.
Non ti servirà a niente.
Non uccidermi. Ti prego. Non voglio morire. Non puoi farmi questo. Io ti amo. Ti ho amato da sempre. Quante parole che ora hanno perso ogni significato per me.
So che dovrei provare rimorso, che dovrei piangere e combattere per oppormi a questo demone che mi rode dentro e mi spinge a fare cose che... che dovrei dimenticare.
Ma è proprio questo il punto. Non voglio dimenticarle. Voglio goderne.
Il mio demone. E’ qui, da qualche parte, insinuato nel mio sangue, e le sue direttive sono come linfa per me. E’ questo demone a nutrirmi e io devo amarlo, adorarlo.
Sangue.
Il contatto delle mie dita sul tuo collo mi eccita. Ma che strana sensazione, non è il sesso ad eccitarmi, non è il pensiero dei nostri corpi avvinghiati, è la tua paura. Il terrore che traspare da quegli occhi così chiari da farmi temere che possano liquefarsi di fronte a ciò che hanno davanti.
Ma sono proprio io, mamma.
Il vampiro mi ha morso, e anche se non sono più tuo figlio, ho bisogno di te come un tempo, assaggiare il tuo sapore.
Devo berti.

Daniele Picciuti