La mano morta

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2007 - edizione 6

Ne percepì il profumo prima ancora di vederla salire.
Il suo petto venne artigliato da una morsa di desiderio impellente; rivoli di sudore gli scivolavano dalla fronte.
Strisciò verso la preda, facendosi largo a spallate.
Finalmente la raggiunse e si fermò dietro di lei ansimando veloce. La minigonna bianca, di tessuto leggero, il triangolo scuro del perizoma come un richiamo, il canto nascosto di una sirena che solo lui poteva sentire.
Fece scivolare la mano sopra l’indumento, aspettando che gli scossoni del bus facessero il resto.
Una, due, tre volte spinse la mano, sempre più forte, lei sembrava ignorarlo; fingeva, ne era certo.
Decise di osare ancora, sentiva che era il momento giusto.
Abbassò la mano e l’infilò sotto la gonna, senza preoccuparsi degli altri passeggeri, distratti, avviluppati nelle loro esistenze grigie.
Le sue dita scivolarono in mezzo ai glutei, lei si voltò e sorrise.
Occhi profondi, vogliosi.
Poi i rumori del bus cessarono, i neon si appannarono, il sole scomparve.
Nella luce incerta lui ricambiò il sorriso, mentre la ragazza avvicinava la bocca alla sua.
Le labbra esangui si schiusero rivelando due file di denti scuri e maleodoranti.

D’istinto cercò di ritrarre la mano, senza riuscirvi.
Inorridito, vide il braccio scarnificato di una vecchia seduta di fianco che gli bloccava il polso. Sorrideva, come la ragazza, come gli altri passeggeri, che sbavavano intorno a lui per assaggiare la sua carne fresca.
La donna dei suoi desideri fu la prima a morderlo, strappandogli la lingua.
Urlò senza voce.
Il bus riprese a muoversi in mezzo a carcasse di automobili, lungo strade sventrate e polverose.
L’autista terminò la corsa all’alba, nel piazzale davanti al cimitero.
Attese la discesa dei passeggeri, poi raccolse quello che restava della vittima. Buttò la mano morta in un cassonetto arrugginito e s’incamminò verso la sua tomba.

Luigi Brasili