Facevo
    strani disegni da bambina. Giocavo a tracciare i contorni degli oggetti, ritrarre animali,
    incubi, persone.
    Fu lei a intrufolarsi nella punta della mia matita, lei che volle imporsi ad occhi che non
    la cercavano, lei che, dun tratto, fagocitò la smania della mia mano, rendendola
    sterile: da quel momento in poi, la fantasia mi è morta tra le dita.
    Un nido di rughe maligne e luridi stracci per capelli: la strega mi fissava dal bianco
    pauroso del foglio, lo sguardo di putrida soddisfazione. Inorridii, provai a cancellarla,
    strappai il foglio, lo resi poltiglia di aria e paura, ma non ci fu modo di restituire
    quellimmagine al fondo delle tenebre.
    Senza aver fiatato, colmò comunque le mie orecchie del suo gracchiare infernale, per
    sempre: soddisfatta, lontana dalla pallida ombra che aleggiava sulle mie notti, ora poteva
    scavalcare il recinto dei miei sogni e mietere inquietudine.
    Imprigionandola nelle fibre della carta lavevo sguinzagliata, perché volasse come
    un corvo sopra le mie certezze. Mi depredò del sonno e dellamore per la pittura. Mi
    ha reso schiava di una memoria trapassata che non scolora e ancora mi tormenta.
  Non ho mai più preso in mano una matita, lidea di dissotterrarla, di nuovo, mi
  agghiaccia. Ma lei si contorce, scava agli angoli della mia mente e mi implora di
  lasciarla uscire. Ho cercato di oppormi, lottando contro me stessa perché volevo sparisse
  con me. Ma sono stanca, esausta.
  Mi inchino alla sua atroce eredità. Lorrore non è più soltanto mio, non ora che
  sono qui, a scrivere di un segreto malato e mi sento angosciata, alla deriva:
  lincantesimo maligno si perpetua e mi costringe a regalare a te, ignaro lettore, un
  po del mio incubo, quel che resta di quella paura, un tempo lontana, e adesso sempre
  più vivida dentro i tuoi occhi.
Studentessa universitaria in Scienze della Comunicazione.