Il funerale

La storia che vado narrando ha dell'inverosimile ma, vi assicuro, è successo proprio a me.

 

A quei tempi avevo circa diciassette anni e da tre lavoravo in una di quelle ditte dove ci si deve abituare a fare di tutto.
E fu così che un pomeriggio di dicembre il mio principale mi informò che verso le tre mi dovevo recare al cimitero per chiudere la tomba di un anziano signore, che era morto in un paese lontano ma desiderava essere sepolto vicino ai suoi genitori, cioè proprio nel nostro cimitero comunale.
Quello era un compito che sarebbe spettato a muratori esperti, ma purtroppo non ce n’era nessuno che volesse portare a termine quell'ingrato lavoro. Lasciavano intendere che per loro era imbarazzante lavorare mentre i parenti del defunto piangevano.
E così il mio datore di lavoro, per quel genere di incombenze, ripiegava sempre su noi giovani. Quella volta fu il mio turno.
Erano le due e trenta del pomeriggio quando presi il piccolo carretto (da trascinare rigorosamente a mano) e, dopo averlo caricato di malta e mattoni, mi avviai verso il cimitero. Vi giunsi dopo circa dieci minuti, già stanco per aver trascinato quel peso su una strada sterrata per più di un chilometro.
Incontrai il vecchio custode, che subito attaccò bottone raccontandomi che dopo pochi giorni sarebbe andato in pensione; poi, visto che il carro funebre tardava ad arrivare, cominciò come al solito a raccontarmi le sue avventure, a partire da quando era stato mandato da Mussolini in terra d'Africa per combattere contro le truppe dell'allora imperatore dell'Abissinia, che lui ricordava con il nome di Negus.
Mi raccontò a lungo di quelle sue avventure - che devo dire non mi interessavano poi molto, data la mia giovane età... - poi finalmente, verso le quattro del pomeriggio, vidi arrivare il carro funebre.
Nel mese di dicembre dove abitavo io, in un piccolo paese della bassa bresciana, c'era sempre una fastidiosa nebbia e il buio arrivava assai presto.
Ma andiamo avanti con la storia.

Dopo che il parroco diede la benedizione, la cassa contenente il corpo del vecchio signore venne trasportata nel posto destinato per la sepoltura. Questo loculo si trovava in un angolo quasi nascosto del cimitero stesso.
Mentre io preparavo la malta per chiudere il loculo, i parenti del defunto diedero un ultimo saluto e si allontanarono. Dovevano fare molta strada per ritornare a casa, e con l’oscurità che incombeva preferirono partire prima che la nebbia e il buio rallentassero troppo il loro viaggio.
Meglio cosi così, pensai: non dovevo sopportare i loro piagnistei e potevo lavorare con un po' più di tranquillità.
Aiutato dal custode posai dentro lo stesso loculo una piccola cassetta di legno, che conteneva i resti di una lontana parente del defunto, da poco rimossi da una vecchia tomba.
Finalmente ero pronto per iniziare il lavoro per cui ero lì, ovvero chiudere con malta e mattoni il loculo.
Nel frattempo la nebbia era sempre più fitta e il buio incombeva sempre più. Dovevo fare in fretta, nel cimitero non si vedeva quasi più nulla. Non mi era mai successo di rimanere in un cimitero al buio. Proprio io che ero a dir poco terrorizzato dal buio.
Per fortuna ero certo che il custode si trovava ancora nel cimitero. E mentre sistemavo i mattoni uno sull'altro mi guardavo attorno cercando di capire dove fosse finito, ma stranamente non lo vedevo.
Cercai così di chiudere in fretta il loculo per ritornare in paese finché c’era ancora un po' di luce per depositare in cantiere il materiale rimasto.
Il loculo purtroppo era uno dei più grandi, e mi sarebbe servito molto più tempo di quello che avevo previsto.
Avevo quasi terminato, quando dall'interno della cassa del morto mi sembrò di udire degli strani rumori. Mamma mia che paura! Mi fermai terrorizzato: Non sarà il morto che si muove... pensai.
E per assicurarmi che non fosse solo frutto della mia fantasia, stimolata da quella strana circostanza, mi accinsi a cercare il custode per chiedere anche un suo parere sui suoni che provenivano, mi sembrava, dall'interno della cassa del defunto.
Dopo avere fatto un paio di volte il giro dell'intero cimitero non trovavo il custode; la mia delusione crebbe decisamente quando capii che se ne era andato, chiudendo anche il cancello con un grosso lucchetto.
Fui nuovamente invaso dal terrore, non sapevo più cosa fare.
Mi era impossibile lasciare il lavoro a metà: dovevo terminare di chiudere la tomba.
Anche se in me era grande la voglia di fuggire da quel terribile posto.
Non so come ma riuscii a trovare il coraggio per rimettermi a lavoro. Mentre ritornavo in quell'angolo buio, ad ogni passo mi giravo e controllavo che nessuno tentasse di assalirmi alle spalle. Avevo l’irrazionale paura che uno di quei morti uscisse dalla tomba per catturarmi e trascinarmi poi con sé.
Quando giunsi nuovamente al loculo per terminare la chiusura, cercai di capire se ci fossero ancora i rumori che avevo udito poco prima. Salii su un minuscolo cavalletto che avevo a disposizione e penetrai con la testa nel loculo, appoggiando poi l'orecchio alla cassa.
Fu allora che scoprii che quei rumori non erano da attribuire al morto all'interno della cassa. Provenivano dalla piccola cassetta dove il custode aveva sistemato i resti della parente del morto.
Le piccole ossa, forse perché avevo sistemato la cassetta capovolta per poterla far entrare nello stesso loculo, si erano mosse, creando quegli strani rumori mentre trovavano un’altra sistemazione all'interno della piccola cassa.
Terminato finalmente il lavoro fui libero di abbandonare anch'io il cimitero. Ma ero talmente invaso dalla paura che mi ero dimenticato che il cancello era chiuso.
Quando arrivai al cancello cercai in fretta un altro modo per uscire dal cimitero.
Purtroppo il muro di cinta che lo circondava era troppo alto perché riuscissi a superarlo. Cercai così di arrampicarmi su uno dei quattro cipressi che crescevano all'interno del cimitero; ma erano tutti troppo distanti dal perimetro. E spostarmi lungo un ramo non mi bastò a raggiungere il muro.
Guardai l'orologio, erano solo le sei; i miei genitori avrebbero terminato il loro turno di lavoro alle otto e non potevano notare la mia assenza.
Decisi così di attendere, certo che al loro ritorno, non vedendomi a casa, avrebbero chiamato il mio principale e avrebbero così scoperto che io ero ancora all'interno del cimitero.
Mi sedetti ai piedi di un cipresso, osservando le tombe che mi erano più vicine. Le piccole lampade votive illuminavano le fotografie poste sulle lapidi, e mi sembrava che tutti quei morti mi guardassero, come attendendo anche il mio arrivo in quel luogo funesto.
Questo mi terrorizzò sempre più.
Chiusi gli occhi per non vedere, e attesi con ansia l'arrivo dei miei genitori.
Guardavo continuamente l’orologio, ma non erano nemmeno le otto: dovevo ancora aspettare a lungo.
Così rimasi seduto ai piedi dell’albero, quasi immobilizzato dalla paura, finché le gambe non iniziarono a farmi male. Allora mi guardai intorno, come per vedere che non ci fosse nessuno - anche se, ne ero certo, gli abitanti di quel posto erano sicuramente immobili - e mi alzai per fare due passi, restando sempre nelle vicinanze del cancello con la speranza che qualcuno arrivasse per farmi uscire. Il dolore si attenuò, così mi avvicinai di nuovo al cipresso per sedermi.
Non l'avessi mai fatto: emettendo delle urla impressionanti una bestia, evidentemente spaventata dai miei spostamenti, fuggì sfiorandomi la testa. La cosa mi terrorizzò a tal punto che, non so nemmeno come, approfittando di alcuni contenitori di fiori agganciati alle lapidi, riuscii a salire sul muro di cinta e a scendere poi dall'altra parte, dove con una corsa al limite delle mie possibilità raggiunsi le prime lampade che illuminavano il paese e finalmente, poco dopo, casa mia.
Al mattino, dopo una notte da incubo, tornai al cimitero per recuperare il carretto e il resto del materiale; incontrai anche il custode e subito gli chiesi perché mai la sera prima mi avesse chiuso nel cimitero.
La sua risposta fu lapidaria: - Ero certo che tutti se ne erano ritornati a casa e non mi sono ricordato che tu eri ancora all'interno. - Per non far vedere il mio imbarazzo scherzai con lui su quel fatto, ma solo io sapevo la paura che avevo provato in quelle poche ore; e ancora oggi, dopo molti anni, il ricordo di quell’episodio è vivo in me come se non fosse passato un solo giorno.

Giuseppe Loda

Sono Giuseppe Loda da poco pensionato mi diverto a scrivere racconti.