Triplice fischio finale

- Un po’ di ordine, porca troia!
Michele “Cemento” Gallura scrutò i suoi indisciplinati compagni, picchiando la spranga di ferro sulla transenna per sottolineare il suo ordine. Con un po’ di difficoltà le file dei Demons si serrarono saldamente. Cemento li guardò con un certo orgoglio: cinquecentoquaranta cazzutissimi compagni d’arme che l’avevano seguito in quella memorabile trasferta.
Le magliette nuove erano splendenti nei colori sociali, bianco e rosso, con tanto di sponsor ufficiali a riflesso olografico. Il Presidente era stato particolarmente generoso nell’organizzare quell’evento storico, non lesinando sulla prenotazione di voli charter, sul merchandising ufficiale e sulle forniture di “repressori” per la legittima difesa, come li chiamavano quei vigliacchi fottuti dei politici.
- Quanto manca, capo? - Fabrizio Messi Favin, per tutti “Fmf”, pronunciato all’inglese, eff-em-eff, fremeva nell’attesa della partita. Era uno dei due vice di Cemento, il suo campione di strada, cento chili di muscoli e grasso. La maglietta numero sette di Milton Fabiao, il fuoriclasse della loro squadra, gli tirava sulla pancia e sulle braccia.
- Cinquantacinque minuti. Quando saranno entrati tutti gli spettatori col badge. Merdosi finocchi.
A cinquanta metri di distanza una falange di poliziotti in completo da battaglia sorvegliava il “corridoio” in cui stavano passando gli spettatori per entrare poi al Villa Park di Birmingham, dove da lì a breve si sarebbe disputata la finale Superlega 2025. Erano “gli eletti”. Gente talmente danarosa da potersi permettere il biglietto da tremila euro per assistere alla partita sugli spalti. Cemento li disprezzava. I veri tifosi erano loro, che si facevano il culo sulla strada, che difendevano l’onore della squadra con muscoli e sangue, non quei ricchi imbellettati e protetti dagli sbirri dell’UEFA.
I Demons si misero a fischiare all’indirizzo degli spettatori, a malapena visibili attraverso le fila dei poliziotti. Alcuni sbirri si voltarono, alzando appena le canne dei fucili d’assalto L85, probabilmente caricati con proiettili hydrashock a espansione. Cemento fece cenno ai suoi di calmarsi: gli inglesi ci andavano con la mano pesante, erano tra i peggiori “celerini” dell’UEFA.

Quando tutti i trentanovemila spettatori paganti furono entrati, gli altoparlanti disseminati nell’area ultras esterna si accesero all’unisono.
- I tifosi del Vicenza Calcio 1902 sono pregati di rimanere nell’area transennata quattro durante la chiusura delle porte dello stadio. Ogni trasgressione sarà punita senza ulteriori preavvisi, in ottemperanza del Protocollo di Bruges.
I Demons rumoreggiarono. Sapevano che quell’annuncio veniva trasmesso in contemporanea in lingua tedesca nell’area transennata uno, quella che ospitava i tifosi dell'Eintracht Francoforte, l’altra finalista della Superlega Europea.
- Alessio! Iniziamo coi cori! Su le bandiere!
L’ordine di Cemento scosse i Demons, che bruciavano dalla voglia di sostenere la squadra. Alessio “Kobra” Marcelli, l’altro suo luogotenente, si mise a urlare i cori d’incitamento al megafono, con la sua voce stentorea allenata dal tanto gridare nella fonderia dove lavorava per settecentonove euro al mese. Gli ultrà sfoderarono i loro “repressori”, nome gentile dato alle armi bianche, le uniche concesse per affrontare i tifosi avversari nelle aree ultras. Il tamtam via internet sosteneva che gli hooligans tedeschi fossero quasi mille. Sarebbe stata una battaglia memorabile.
Cemento scrutò l’orizzonte, osservando le telecamere automatizzate sistemate sui lampioni, agli angoli delle strade, sulle finestre degli edifici requisiti dall’UefaSat 2, il canale televisivo che avrebbe trasmesso la battaglia di strada che si sarebbe tenuta in contemporanea con la partita. Quasi la metà degli sportivi preferivano vedere quelle guerriglie urbane che non la partita vera e propria. Inoltre in tutta l’area erano stati sistemati otto maxischermi corazzati che avrebbero trasmesso le immagini della finale agli ultras stessi.
Il leader dei Demons respirò l’aria satura di polveri sottili e puzza di sudore. A lui, semplice meccanico della Fiat-Toyota di Vicenza, aspettava una serata di gloria pura. Alzò la spranga dipinta di biancorosso al cielo: l’avrebbe abbassata solo quando i blindati automatizzati avrebbero tolto le transenne dando il via agli scontri.

 

Nove minuti al via. I maxischermi si accesero sul notiziario flash che precedeva la diretta. Clelia Shawn, la più nota telegiornalista di UefaSat, era sottotitolata in italiano e tedesco per l’occasione. Lesse il riassunto di notizie inquietanti senza smettere di sorridere in modo malizioso.
La disoccupazione era aumentata del 5,4% in tutta la zona mediterranea dell’Unione.
Sessantesimo giorno di legge marziale a Napoli. Ennesima incursione dei parà a Scampia. Trentadue esecuzioni eseguite.
Altri due kamikaze s’erano fatti esplodere nel mercato di Damasco, uccidendo dodici soldati della forza di peacekeeping israeliana e ben novantasei civili.
Il parlamento europeo al voto sulla nuova legge di “dolce morte coatta” per tutti quei malati terminali che non potevano permettersi una copertura sanitaria.
Finalmente arrivarono le notizie sportive e con esse il collegamento dallo stadio Villa Park. Un inviato dai tratti vagamente orientaleggianti fece una domanda al Presidente del Vicenza.
- La sua squadra è la sorpresa assoluta di questa Superlega. Lei crede nella vittoria finale?
- Abbiamo le carte in regola per vincere. I miei ragazzi daranno l’anima, così come faranno i nostri ultras fuori da questo stadio.
I Demons ulularono come lupi in risposta al loro Presidente, che non aveva mai preso distanze dalla realtà del tifo organizzato. Presidente, uno di noi! era il coro più cantato.
Un minuto e mezzo. Le squadre entrarono in campo. Altre grida e sventolare di armi. Gli spettatori paganti, composti nei loro abiti da prima teatrale, si limitarono a composti applausi.
Lo speaker ufficiale lesse le formazioni, prendendo la linea direttamente dal notiziario. Cemento si concentrò sulle transenne che separavano i Demons dalle due aree vuote e, soprattutto, dalla prima, occupata dai tifosi avversari.
- Disponetevi a cuneo! Quelli sono tanti, ma noi siamo più forti dei culi molli tedeschi! Sfondiamo in mezzo e poi separiamoci in plotoni, come abbiamo deciso. Sfruttiamo scale, androni, vicoli: anche se sono tanti non potranno contare sul vantaggio numerico, se non gliene daremo la possibilità!
Grida esaltate risposero alle sue ultime disposizioni. Cemento amava pensarsi come uno stratega e quella finale l’aveva preparata per un mese. L’Eintracht era nettamente favorito in campo, ma i suoi ultras avrebbero subito una brutta batosta, in qualunque modo fosse finita la partita. Onore sul campo, onore sulla strada. Questo era il motto dei Demons. Non avrebbero più avuto l’occasione di un palcoscenico in mondovisione, dovevano sfruttarla fino in fondo.
Le transenne sferragliarono, le ruote sbloccate mentre scorrevano via. L’arbitro fischiò l’inizio della partita.

 

Il primo scontro servì, come sempre, a scremare gli inesperti, gli inadatti, i timorosi. I Demons s’infilarono a cuneo nella massa dei BlackPanzer, gli ultras tedeschi in maglia rossonera. Cemento sfondò un paio di crani, in testa al cuneo, appena dietro a Fmf, che mulinava la sua catena con una furia omicida.
Passarono oltre, disperdendosi verso edifici e vicoli al posto che serrare le fila per un secondo scontro. La retroguardia dei Demons si fermò il tempo necessario per bersagliare i Panzer con biglie, bulloni e bombe carta, coprendo i gruppuscoli di compagni che si disperdevano lungo tutto il terreno di battaglia.
Cemento e nove dei suoi si fiondarono verso una palazzina bassa e squadrata, forse un ex alloggio popolare. Buttò un’occhiata alle sue spalle: a occhio e croce erano molte più le maglie rossonere a essere a terra sanguinanti, che non i Demons.
Entrarono nell’edificio ad armi spiegate, salendo ai piani superiori. Dalle finestre videro che i tedeschi, evidentemente sorpresi, si stavano riprendendo solo in quel momento, dividendosi per scovare i loro avversari.
Le casse dei maxischermi urlavano la telecronaca della partita. Riprendendo fiato, Cemento si concesse qualche minuto di calcio puro. Al quarto d’ora le due squadre erano sullo zero a zero. I tedeschi attaccavano sbattendo contro il nutrito centrocampo vicentino. Proprio su un’azione del fantasista dell’Eintracht, l’argentino Gallego, uno dei nove richiamò la sua attenzione: un manipolo di Panzer avanzava verso la loro postazione.
- Bersagliateli coi sassi e poi battiamocela sul retro. Mordi e fuggi, ricordate: colpire e ritirarsi!

 

Alla fine del primo tempo il Francoforte realizzò l’uno a zero su punizione di Stielh. Il gol esaltò gli ultras tedeschi, che si lanciarono come dannati all’attacco dei fortilizi improvvisati degli italiani. L’intervallo fu un quarto d’ora di fittissimi scontri. Cemento visse via maxischermo il dramma di Alessio e dei suoi, chiusi in un vicolo cieco e massacrati brutalmente.
Trattenendo lacrime di rabbia, il leader dei Demons guidò i sette compagni residui del suo plotone attraverso un ex ipermarket che accedeva su due dei quattro settori del terreno di battaglia. Dopo i successi iniziali i suoi venivano stanati come topi, uno dopo l’altro. La loro squadra perdeva e i Demons insieme a lei. I sogni di Cemento crollavano miseramente.
- Nascondiamoci nel montacarichi - suggerì Aurelio, il più determinato del drappello. - Da qui si accede al settore da dove sono partiti i crucchi. Fra un po’ penseranno di averci schiacciati e torneranno qui a godersi il successo dell’Eintracht.
Aurelio sputò a lato.
- E in quel momento, avremo la nostra vendetta - completò Cemento, aprendo lo zaino insanguinato che portava in spalla. C’erano quattro magliette rossonere del Francoforte, strappate da altrettanti nemici abbattuti strada facendo.
I suoi sorrisero, soddisfatti del piano: infiltrarsi, avvicinare il leader dei Panzer, il leggendario Andreas “SS” Koltz, e ucciderlo. Il piano di riserva: una strategia suicida ma gloriosa. Sarebbe stata una finale memorabile.

 

Nascosti nel vecchio montacarichi poterono sentire la telecronaca, mentre col videofonino di Augusto seguirono sia le azioni che la diretta della guerriglia.
Fmf fu impalato sulla katana di un Panzer e morì dentro un ufficio postale in cui aveva resistito per più di dieci minuti da solo.
Incredibilmente, al sessantaseiesimo Fabiao pareggiò il conto con una staffilata rasoterra dalla fascia destra. Il Presidente si alzò ad applaudire. L’Eintracht sembrava più sulle gambe, stanco di attaccare.
- Merda, vuoi vedere che ce la facciamo? - Cemento era diviso tra la gioia per il gol e la rabbia per la batosta che subivano i Demons.
All’ottantaduesimo il tedesco Ramstaeder prese la traversa di testa. L’evento coincise con l’incendio di un cassonetto in cui erano stati chiusi tre italiani. Oramai c’erano pochissimi Demons per le strade. I ras dei Panzer cominciarono a riunirsi nel loro campo base per sostenere la loro squadra in quegli ultimi minuti. SS Koltz, la barba bionda tinta di sangue, sventolava una bandiera biancorossa che bruciava lentamente.
- Prepariamoci - sussurrò Cemento, distribuendo le maglie dell’Eintracht ai quattro volontari, Augusto incluso.

 

Uscirono di soppiatto, accodandosi a un nutrito gruppo di tedeschi inneggianti. Si stavano accalcando sotto un maxischermo, mentre i loro compari, la “manovalanza”, dava la caccia ai Demons rimasti. Cemento nascondeva la spranga coi colori sociali nei pantaloni, pronta all’uso. Quella trasferta era un disastro, come Cemento aveva temuto segretamente. Eppure la loro impresa suicida avrebbe reso onore eterno alla loro squadra: centinaia di giovani si sarebbero uniti ai Demons superstiti, attirati dal lustro delle loro gesta in quella finale.
Un boato scosse i BlackPanzer: Antonio Cucchiaro s’era involato sulla sinistra, una freccia biancorossa sul manto erboso. Cemento e i suoi ne approfittarono per avanzare tra le fila dei tedeschi, avvicinandosi a Koltz che stava proprio sotto il maxischermo.
Il timer segnava 90’+2’48”: erano gli ultimi secondi dei tre minuti di recupero dati dall’arbitro.
Cucchiaro crossò alto dal fondo.
Il portiere Mann uscì con un attimo di ritardo.
Cemento si trovò a un metro e mezzo da Koltz, che aveva gli occhi fissi sullo schermo e le mani tra i capelli.
La palla arrivò a Trabucchi, il centrocampista capitano dei vicentini. Staccò di testa, anticipando Mann.
La spranga biancorossa compì un ampio arco in aria. Qualche tedesco grido un avvertimento, soffocato dall’urlo del cronista.
La palla s’insaccò nell’angolo basso della porta.
La testa di Koltz si spaccò sul colpo, il suo sangue schizzò fino al maxischermo.
- Gol! Maledetti crucchi bastardi, gol! - Cemento si girò, esultando con la spranga levata. Il duplice stupore dei crucchi durò un paio di secondi, poi emerse la rabbia.
I Panzer si lanciarono a lame snudate su Cemento e i suoi, quaranta contro quattro.
Quando la prima lama affondò nel fegato del leader dei Demons, l’arbitro fischiò tre volte.
Sullo schermo il Presidente applaudiva in piedi, piangendo di gioia virile.

Alessandro Girola