L'autostrada

Roberto sterzò di colpo, per evitare l’uomo che gli aveva attraversato la strada e la manovra lo fece quasi uscire di strada.
- Imbecille! - gli gridò, voltandosi. Il grido gli si strozzò in gola nel momento in cui si rese conto che la strada, immersa nel buio, era deserta.
Restò interdetto per alcuni istanti. Eppure non poteva esserselo immaginato: era certo di avere visto un uomo vestito interamente di nero attraversare la strada proprio davanti alla sua macchina.
- Cristo! - imprecò.
L’unica spiegazione che riusciva a darsi era che stava cominciando a sentire la stanchezza del viaggio e che probabilmente aveva avuto un colpo di sonno. Il manuale del perfetto viaggiatore stabiliva che, in questi casi, la decisione più saggia sarebbe stata quella di accostare lungo il ciglio della strada e dormire anche solo per alcuni minuti. Roberto però aveva un appuntamento per cena e già sapeva che sarebbe arrivato tardi; non era quindi il caso di incrementare ulteriormente tale ritardo.
Accese l’autoradio e si rimise in movimento, seguendo le indicazioni per l’autostrada. Una volta imboccata quella, in una mezz’oretta sarebbe stato a casa.
Mentre Roberto guidava, davanti ai suoi occhi compariva ogni tanto, in brevi flash, quell’uomo vestito di nero, come se quella visione gli fosse rimasta impressa sulla retina.
A giudicare dal cartello appena oltrepassato, per l’autostrada si doveva svoltare a destra.
“ Strano...” pensò Roberto, seguendo l’indicazione. Se il senso dell’orientamento non lo ingannava, l’autostrada si sarebbe dovuta trovare più avanti. Ma evidentemente il suo orientamento era andato a farsi fottere insieme alla sua lucidità, perché il casello gli comparve effettivamente davanti all’improvviso.
S’incanalò in una delle corsie completamente libere, ritirò il biglietto e premette a fondo l’acceleratore, abbassando di due dita anche il finestrino, per farsi tenere sveglio dall’aria fresca.
“There’s a Lady who’s sure all that glitters is gold and she’s buying a stairway to Heaven...” cantava la voce ipnotica di Robert Plant dall’autoradio. Non era certo la canzone più indicata per impedire colpi di sonno, ma era una delle sue preferite, così si limitò ad alzare il volume, concentrandosi sull’arpeggio della chitarra e canticchiando le strofe che ricordava.
“There's a feeling I get when I look to the west and my spirit is crying for leaving...”
Roberto notò che l’autostrada era particolarmente buia: neppure una luce la illuminava. Gli alberi che costeggiavano il lato destro avevano un aspetto inquietante. Quel tratto d’asfalto che lui conosceva bene sembrava diverso dal solito.
Guardò il cielo sopra di sé: era nero e senza luna né stelle.
Diede un’occhiata al contachilometri e notò che ne aveva già percorsi una quindicina, senza incontrare neppure un cartello autostradale. Eppure avrebbe già dovuto vedere la propria uscita.
“Ma porca miseria... mi sa che ho sbagliato strada” si disse, anche se non capiva come avesse fatto.
Decise di fermarsi in una piazzola di sosta, azionò le quattro frecce e prese l’atlante stradale dal sedile posteriore, dopo avere spento l’autoradio.
- Ecco, lo sapevo! Dovevo andare dritto, non svoltare a destra! - disse trionfante, come se parlasse con un immaginario passeggero - Solo che adesso come torno indietro? Qui sembrano non esserci uscite ancora per molto.
Roberto prese così la decisione di fare una cosa assolutamente vietata. Riavviò la macchina, si rimise in viaggio e, appena avvistò un varco tra le due carreggiate dell’autostrada, rallentò, mise la freccia a sinistra e, con grande sprezzo del pericolo, si immise nella carreggiata opposta, con l’intenzione di tornare indietro, al casello.
Mentre procedeva a velocità sostenuta, maledicendosi per avere incrementato ulteriormente il suo ritardo, cercò di inventarsi una spiegazione da rifilare al casellante, per giustificare l’inversione a U.
Quando il contachilometri gli segnalò che aveva percorso venti chilometri, Roberto cercò di guardare in quel buio assoluto, per cercare le luci del casello, che doveva essere a qualche centinaio di metri davanti a lui.
Ventuno chilometri. Ventidue. Venticinque. Trenta. Trentacinque. Del casello nessuna traccia.
Mano a mano che il guidatore procedeva su quel maledetto nastro d’asfalto nero, il suo piede premeva sempre più sull’acceleratore, per raggiungere quel cazzo di casello, che sembrava essere svanito nel nulla.
Roberto sudava, si sentiva la bocca secca e il cuore gli batteva forte, come se stesse per avere un attacco di panico. Sbandò per un istante, premette il freno, sbandò ancora, poi vide una piazzola di sosta e vi si buttò, inchiodando di botto. Il motore sussultò e si spense.
- Calma! - si disse, poggiando la schiena contro il sedile e senza mollare il volante.
- Calma! - ripeté, come un mantra - Deve esserci una spiegazione!
Evidentemente si era perso ancora. Per la fretta di uscire da quell’autostrada doveva avere imboccato uno svincolo mentre tornava indietro e quindi il casello non poteva esserci.
Aprì la portiera ed uscì dalla macchina, per respirare una boccata di aria fresca. Si guardò intorno, in cerca di una luce qualsiasi, anche in distanza, ma intorno a lui sembrava esserci il nulla.
Accese il cellulare, sua unica speranza, e si rassegnò a chiamare qualcuno per farsi spiegare come ritrovare la strada. Sul display comparve il simbolo lampeggiante “ricerca rete”. Qualche secondo dopo, il drammatico responso: “Rete assente.”
- Ma vaffanculo! - gridò, trattenendosi a fatica dal lanciare via quell’inutile attrezzo.
Con la mente che vagava in cerca di una spiegazione razionale, camminò verso il centro della carreggiata e guardò nella direzione dalla quale era venuto, sperando di vedere, in lontananza, i fari di una provvidenziale macchina.
Restò immobile, nella corsia centrale dell’autostrada, per un lasso di tempo che non avrebbe saputo quantificare, nel corso del quale non vide nessuna luce e non udì alcun suono, neppure in distanza.
Il mondo intorno a lui sembrava essere sparito.
- No! Devo scuotermi! Devo uscire da questa cazzo di autostrada! - gridò, tornando in macchina.
Riavviò a fatica il motore, che si era ingolfato, e si rimise in viaggio.
Quaranta chilometri. Quarantacinque. Cinquanta. Senza mai incontrare uno svincolo, un’uscita, un cartello o un’indicazione, neanche i cartelloni pubblicitari.
Riaccese l’autoradio, sperando di trovare qualche notiziario della viabilità. Premette più volte il tasto della sintonizzazione, ma dalle casse provenivano solo fruscii. Poi, una serie di suoni più coerenti.
“Yes, there are two paths you can go by, but in the long run there's still time to change the road you're on...”
Ancora “Stairway to Heaven”.
- Vaffanculo! - urlò, spegnendo l’autoradio con un pugno.
Cinquantacinque chilometri. Sessanta. Dopo settanta chilometri decise di smettere di contare. E anche di pensare.
Improvvisamente, un centinaio di metri più avanti, comparvero le luci di un autogrill. La salvezza, finalmente, o perlomeno qualcosa da mangiare. Anche se, ora che ci faceva caso, non sentiva fame né sete e anche il sonno era svanito del tutto.
Roberto entrò nell’autogrill, nel quale fu accolto dalla musica della radio accesa.
“Your head is humming and it won't go, in case you don't know, the piper's calling you to join him...”
“Ma da queste parti trasmettono solo i Led Zeppelin?” pensò, sforzandosi di trovarlo divertente, ma la sua testa cominciava a ronzare, proprio come nella canzone.
Nell’autogrill c’erano soltanto una ragazza dallo sguardo spento dietro al bancone del bar e un uomo corpulento sulla cinquantina, forse un camionista, seduto ad un tavolino, anch’egli con lo sguardo perso nel vuoto.
Roberto si voltò e lo vide, seduto ad un altro tavolo.
Era l’uomo vestito di nero che gli sembrava di avere quasi investito. L’uomo guardava proprio lui, come se lo stesse chiamando.
“The piper’s calling you to join him...”
Roberto gli si avvicinò istintivamente, fermandosi proprio davanti a lui.
- Siediti. - lo invitò l’uomo misterioso.
Roberto accettò l’invito e si sedette di fronte a lui.
- Io ti ho già visto. - disse.
- Anch’io. - rispose l’uomo in nero, che lo guardava con quei suoi occhi azzurri incastonati nel viso rugoso.
- Mi sta capitando qualcosa di strano.
- No, ti sta capitando qualcosa che non capisci.
- Io sono solo entrato in autostrada, poi tutto è cambiato, tutto mi è sfuggito di mano...
- Al casello ti hanno dato un biglietto? - gli domandò l’uomo.
- Ma certo, il biglietto... come ho fatto a non pensarci prima? - si riscosse Roberto, frugandosi nella tasca della giacca.
- Cosa c’è scritto? - indagò l’uomo.
L’espressione di Roberto era tornata cupa e smarrita come prima.
- Non capisco... nel nome della tratta autostradale c’è scritto solo “Stairway to Heaven”, come la canzone - balbettò - Cosa significa? -
- Significa quello che c’è scritto. - rispose sibillino l’uomo in nero.
“And it's whispered that soon, if we all call the tune, then the piper will lead us to reason...” continuava a cantare Robert Plant.
Roberto si guardò intorno e vide la ragazza, ancora immobile dietro al bancone, con lo sguardo spento, e il camionista appoggiato al tavolino, perso nei suoi pensieri.
Lanciò un’occhiata di sfuggita all’orologio appeso alla parete e vide che era fermo sulle 19,30. Guardò quello che portava al polso e scoprì che segnava la stessa ora, sebbene fosse in viaggio ormai da molto tempo.
Era l’ora in cui aveva visto l’uomo vestito di nero attraversargli la strada. L’ora in cui aveva avuto il colpo di sonno.
“Dear lady, can you hear the wind blow, and did you know your stairway lies on the whispering wind?”
- Io... sono morto? - domandò Roberto, con un filo di voce.
- No. Se lo fossi non saresti qui. - rispose l’uomo in nero.
- Allora sono ancora vivo.
- No. Se lo fossi non saresti qui.
- Allora dove sono?
- Diciamo a metà strada.
- Tu chi sei?
- Chissà... il “pifferaio”, forse, o magari la “Signora”... o un passante che hai quasi investito.
- Posso ancora uscire da questa autostrada? - chiese Roberto, dopo una lunga pausa.
- L’hai sentita la canzone, no? “Hai ancora tempo per cambiare la strada sulla quale viaggi.”
- Allora è meglio che mi rimetto in viaggio, per trovare l’uscita. - disse Roberto, alzandosi.
- Ricorda però che sono due le vie che puoi percorrere e non è detto che l’uscita che sceglierai sia quella che speravi. - lo ammonì l’uomo in nero.
- Sempre meglio che essere a metà strada.
Dopo avere pronunciato queste ultime parole, Roberto si voltò ed uscì dall’autogrill, seguito dallo sguardo intenso e curioso dell’uomo in nero. Risalì in macchina, avviò il motore, guardò l’orologio del cruscotto, che segnava sempre le 19,30, e rientrò in autostrada. Accese l’autoradio.
“And as we wind on down the road our shadows are taller than our souls, there walks a lady we all know...”
E così Roberto ricominciò il suo viaggio, sfrecciando sulla falce nera della strada e scomparendo nel nero mantello della notte.

Daniele Ramella

Daniele Ramella è laureato in Archeologia e ha insegnato Lettere, prima di dedicarsi alla promozione turistica e alla scrittura. Per l’editore Ananke ha pubblicato, alla fine del 2004, il romanzo giallo “Il mummificatore”, ambientato a Torino, città nella quale vive ormai da molti anni. Nel 2006 è uscito il suo secondo romanzo, “Il mistero del bosco maledetto”, un thriller a sfondo esoterico, edito da “L’Età dell’Acquario”. Un suo racconto di fantascienza, “Un messaggio ai posteri”, è arrivato secondo al concorso NeroPremio, organizzato dal sito La Tela Nera, ed è stato successivamente incluso nella raccolta “Sedotti dal buio”, pubblicata da Ferrara Edizioni.