Acquarello

C'è una casa sul promontorio, accessibile all’occhio solo da un angolo di scogliera chiuso tra rocce taglienti, come uno scrigno.
Questo è il ricordo a me più caro della mia solitaria infanzia. Quella casa e le mie fantasie.
Mio padre morì, in un incidente d’auto, prima della mia nascita e mia madre, incapace di reggere questa notizia, perse per sempre il contatto con la realtà.
La mia infanzia la ricordo così, tra stanze chiuse a chiave e tende pesanti. Non so se mia madre sapesse chi ero, quando varcavo la soglia della sua stanza. Ero sempre timorosa a quel primo passo, poiché tutto in quella camera, dalla luce polverosa che tagliava la penombra, all’odore pastoso dei gigli nei vasi, apparteneva ad un mondo di cui io non facevo parte, eppure, mi piaceva quella stanza e mi piaceva lei, fragile e bionda.
Vivevamo sole in quella grande casa, noi due e la servitù. Eravamo felici o, almeno io credevo fosse quella la felicità.
Gloria era la cuoca e la sua cucina era l’unica parte della casa, in cui mi sembrava che il tempo scorresse.
In quella casa silenziosa, il rumore degli armadietti che si aprivano e si chiudevano, le pentole che sbattevano, le stoviglie che vibravano, tutto in quella cucina sembrava, grazie a lei, avere una voce.

Sembrava che una magia aleggiasse tra i colori e gli odori, sprigionata dalle sue mani sicure e veloci. Era lì che mi rifugiavo, quando la casa diventava troppo silenziosa. Scivolavo dentro, lentamente, lasciandomi incantare dalle le voci della cucina.
La mia vita avrebbe potuto continuare così per sempre, tra il mare, la cucina e mia madre e, invece tutto cambiò, quando l’uomo con il bastone arrivò nella nostra casa.
Alto e magro, aveva il viso chiuso costantemente in un’espressione severa. Passava le giornate camminando per le stanze, sfiorando i mobili e prendendo in mano i numerosi monili che arredavano gli interni. Non parlava mai, se non per necessità con la servitù. Facevo del mio meglio per non incontrarlo, evitando le stanze in cui vedevo muoversi la sua ombra o, nascondendomi dietro i pesanti tendaggi quando mi coglieva di sorpresa.
A volte se ne stava per ore, chiuso nella camera insieme alla mamma e, quando usciva il suo volto era sempre una maschera impenetrabile.
La mamma, invece, dal suo arrivo sembrava essere ancora più bella; ora il suo sguardo, quando si posava su di me era profondo e misterioso, diverso da quello di prima che diventava triste e si perdeva lontano, in ricordi di cui io, non avevo memoria.
Spesso vedevo il suo bastone appoggiato alla sedia del salottino, mentre intento guardava un album di foto. Incuriosita, un giorno decisi di farmi avanti, vedendomi, in silenzio mi indicò una foto molto ingiallita. Non riuscivo a distinguere bene di cosa si trattasse, così mi avvicinai. C’erano tre giovani che ridevano, in una macchina aperta senza il tettuccio. L’immagine di mia madre, ebbe su di me un effetto sconvolgente. I suoi capelli biondi mossi dal vento, l’inclinazione del volto che metteva in risalto il suo viso aristocratico, luminoso e bellissimo e, accanto a lei due uomini, che non guardavano l’obiettivo ma lei, splendida e raggiante. Lo guardai. Mi guardò. E quello che disse quel giorno, cambiò per sempre la mia vita.
- Non assomigli a tua madre. Sarebbe stato più facile.
Poi chiuse il libro di foto e si alzò.
Presa da uno strano timore, corsi nella camera di mia madre. Erano lì tutti e due, lui immobile mentre lei piangeva e annuiva.
- Mamma?
Lei si girò e un sorriso le salì sulle labbra tremanti.
- Tua madre è morta. Domani partiremo. Andrai a vivere dai tuoi nonni, hanno deciso che è giunto il momento per voi di incontrarvi.
Mia madre mi guardava, continuava a piangere e a sorridere. Guardai l’uomo, guardai di nuovo mia madre.
- Mamma...
L’uomo mi guardò fisso, ma io non gli badai, continuavo a guardare mia madre, sperando che lei dicesse qualcosa e mi aiutasse, lei si avvicinò e mi accarezzò il viso e i capelli. Sentii il suo amore, un amore grande, capace di sovvertire le regole per starmi vicino e non lasciarmi sola. Ma ora, non ero più sola, era arrivato l’uomo con il bastone che mi avrebbe portato via, in un’altra casa, dentro un’altra vita. Anche per lei era giunto il momento di andarsene, di rincontrarsi con mio padre o, almeno, è così che mi piace pensare.

Cristina