L'esecuzione

La guerra invecchia lo sguardo dei giovani molto prima del corpo, pensava Marek, legato a un palo al centro della MarktPlatz.
Osservava, alla luce dei fuochi accesi nella piazza, i quattro soldati che il Capitano Komelsky si era portato dietro per la sua esecuzione. Lui stesso lo aveva aiutato ad addestrarli neanche sei mesi prima, e li aveva visti cambiare da spensierati e allegri ragazzotti di campagna in quei muti assassini dagli occhi vuoti, che ora gli puntavano contro sonnacchiosamente i fucili.
Lo sguardo si spostò intorno alla piazza, ma lo distolse subito, perché gli era caduto sugli altri pali, dove erano legati i miseri resti anneriti di altri malcapitati.
Dovunque volgesse gli occhi, comunque, non c’era di che stare allegri. Proprio niente di bello da ammirare prima di abbandonare il mondo. Anzi, il fatto che non ci fosse luna e che la luce del fuoco facesse solo intravedere il panorama intorno alla piazza era quasi un segno di benevolenza del cielo.
La maestosa Cracovia, aristocratica dama tra le città polacche, affascinante di giorno e magica di notte, non esisteva più.
Gli antichi palazzi monumentali, i suoi gioielli, erano stati quasi tutti diroccati dalle bombe o incendiati durante i rastrellamenti; delle viuzze antiche del centro, i giardini, i caffè della Piazza del Mercato e del quartiere ebraico Kazimiertz, non restavano che grigie macerie, triste spettacolo di giorno. E luoghi spaventosi di notte.
La guerra era iniziata proprio lì e nelle altre città dell’est, Praga, Budapest, Varsavia, all’inizio come una chiacchiera inverosimile, riportata quasi per scherzo dai telegiornali, poi un fuoco che aveva infiammato tutta l’Europa e devastava ormai il mondo intero.
Si combatteva sulle montagne, nei boschi e, in città, per le strade o casa per casa. Da Roma a Kinshasa, da Hanoy a Dallas, la guerriglia logorava le due fazioni in un infinito botta e risposta. Di giorno “Quelli” rastrellavano, uccidevano, conquistavano un quartiere, o anche una singola casa. Di notte, “Gli Altri” facevano rappresaglie col favore delle tenebre, portando morte e terrore negli avamposti, e si tornava punto e daccapo.

Marek era stato catturato per l’appunto quella notte, mentre fuggiva dopo aver partecipato ad una spedizione punitiva. Si era staccato dal suo gruppo perché, ferito di striscio da un proiettile, era rimasto indietro. Poi era incappato accidentalmente in una pattuglia di quelli che erano stati i suoi compagni d’arme fino ad un mese prima.
Di solito in questi casi si veniva giustiziati sul posto, spesso decapitati: era più sbrigativo e soprattutto sicuro. Pochi degli ufficiali rimasti ormai seguivano alla lettera le procedure del codice militare, ora che la fine dell’uomo e di tutte le sue abitudini appariva come una certezza irrefutabile anziché una prospettiva fatalista. Ma per disgrazia il Capitano era sopraggiunto in quel momento, e aveva decretato per lui l’esecuzione all’alba, fermando la mano pietosa che voleva accorciare la sua agonia.
Perché Marek, nonostante la particolarità della situazione, per la legge di guerra era pur sempre un traditore. Per giunta era stato uno dei suoi collaboratori più fidati, a tratti la cosa forse più vicina ad un amico che un uomo come il Capitano potesse avere. Potevano persino essere scambiati per fratelli: entrambi biondi con gli occhi azzurri, lineamenti affilati ma volitivi, altissimi tutti e due. Ma mentre Marek era sempre stato più esile, il Capitano era una massa pulsante di muscoli.
Così ora si trovava legato lì ad aspettare il supplizio. Inutile sperare in una sortita dei suoi nuovi commilitoni, anche se gli uomini del capitano ogni tanto scrutavano le ombre inquieti. Mancava ormai qualche ora all’alba, e probabilmente nessuno di loro era più nella città, ma al sicuro nei boschi e nelle fattorie intorno. E comunque difficilmente avrebbero corso rischi per l’ultimo arrivato. Non erano mai stati famosi per altruismo e spirito di sacrificio.
Guardò il cielo e pensò che tra non molto il sole avrebbe inondato di luce la piazza. Un tremito incontrollato scosse il suo corpo magro e pallido.
Sbirciò il piccolo plotone, per vedere se qualcuno lo avesse notato, cercando un ultimo scambio di sguardi con i ragazzi con cui nei momenti più brutti si era tirato su scolando vodka e cantando le vecchie canzoni, ma sembravano guardare un punto lontano dietro di lui, pur continuando a tenerlo di mira.
Per loro Marek non era più un essere umano.
Il Capitano invece se ne accorse. Stava in piedi silenzioso, alternandosi tra un tiro di sigaretta e un sorso dalla bottiglia. Venne subito vicino, odoroso di tabacco e vodka al miele, con un sorriso gentile e un po’ triste.
“Non ci pensare, Marek. Per caso vuoi l’ultima sigaretta?”
Marek non rispose nemmeno. Lo aveva assistito in molte esecuzioni come quella, e conosceva a memoria tutti i suoi giochetti.
Qualcuno ridacchiò, ma in modo stanco e nervoso, quando il Capitano gli spense la cicca nell’occhio. Marek non ebbe alcuna reazione, non un lamento né una smorfia. Si limitò a parlare al Capitano guardandolo fisso con occhi gelidi e penetranti.
“Dimmi la verità, Capitano, ti stai divertendo da matti. In realtà tu speri che questa guerra non finisca mai. Cosa ne faresti della tua vita, altrimenti? Non sai fare altri mestieri che il torturatore o l’assassino.”
Il Capitano bevve un altro sorso.
“Ti dirò come la penso, ragazzo. Secondo me le guerre sono come i Papi. Finita una se ne comincia subito un’altra. È la natura umana. Certe avvengono sotto i nostri occhi, se ne parla tutti i giorni; altre sono nascoste, si dubita che siano mai accadute, o sono addirittura segrete. Questa stessa guerra, ad esempio, per quanto tempo si è combattuta senza che il mondo intero credesse alla sua esistenza? Ma cosa ne puoi capire tu, ormai?”
Marek si rese conto che anche per il Capitano (proprio lui, un uomo del genere) ormai egli non era più una persona, ma una cosa spregevole, un assassino spietato che colpiva nell’ombra seminando terrore, da sopprimere tra atroci sofferenze. Una creatura abbietta, inumana.
Eppure lui sapeva di avere ancora la sua personalità e i sentimenti, e uno di questi era la paura, non tanto della fine cui si era ormai rassegnato, ma dell’attesa sfibrante e del dolore che la avrebbero preceduta. Possibile che proprio loro non dimostrassero un briciolo di pietà umana e cristiana?
“Capitano” chiamò a gran voce, con un’espressione implorante sul volto mortalmente pallido, e quello gli si avvicinò guardingo. ”Ascoltami, per favore.”
“Che bisogno c’è di farmi aspettare fino all’alba? Cosa ci guadagni vedendomi soffrire? È vero, sono passato al nemico, ma non è stata una mia scelta. Mi sono fatto cogliere di sorpresa da loro. Così mi hanno preso e non ho potuto più fare altro che passare dalla loro parte. Neanche tu avresti potuto evitarlo al posto mio.”
”Perciò uccidimi adesso, ti prego. Dì a questi bambocci di spararmi, ancora e ancora, fin quando di me non resti neanche un brandello. Oppure fallo tu di persona, con quel tuo bel coltellaccio d’assalto dei corpi speciali. Staccami la testa, o schiantami il cuore. Rapido, efficiente e indolore come sai essere tu.”
Il Capitano si leccò le labbra. “Mi tenti e mi lusinghi. Parecchio pure. Ma neanche per un milione di zlotich mi perderei lo spettacolo. E neppure loro” disse indicando un gruppo di straccioni in piedi poco lontano, che aspettavano silenziosi con le loro candele, tutti armati di schioppi, asce e coltellacci. Ecco a voi, signori, ciò che rimane della bella gente di Cracovia.
“E poi, devo pur salutare con tutti gli onori un vecchio amico che se ne va. Perciò... Goditi la cerimonia, Marek.”
Detto questo Komelsky gli voltò le spalle e tornò verso i suoi soldati, abbandonandolo alla sua disperazione. E a quel punto Marek perse la sua battaglia per restare razionale. La rabbia che montava, l’istinto di sopravvivenza, e una brama ancora più atavica e brutale, il desiderio di sangue e violenza che aveva cercato fino a quel momento di dominare, presero il sopravvento. Facendogli compiere un gesto molto stupido.
SNAP!SNAP! Con forza sovrumana le braccia spezzarono il cordame che lo teneva fermo. Scattò lanciando un urlo rauco e raggelante, il volto deformato dal ringhio che mostrava gli enormi canini sporgenti, chiazzati di giallo e porpora. Caricò il Capitano... ma la scarica dei fucili lo ributtò subito indietro, mandandolo a sbattere contro il palo, che scricchiolò distintamente all’impatto. Giacque lì, torcendosi per il dolore, mentre la sua carne ardeva sfrigolando.
I proiettili d’argento difficilmente avrebbero potuto ucciderlo, ma le ferite brucianti lo avevano messo in condizione di non nuocere.
“Legatelo di nuovo, BENE stavolta!” Intimò il Capitano.
I suoi soldati avevano facce candide come il marmo.
Marek realizzò di aver fatto il suo gioco, infliggendosi ulteriore sofferenza aggiunta a ciò che lo attendeva. Non aveva più la forza di muoversi, ma riuscì a dire un’ultima parola, sputandogli sangue nero sugli stivali.
“Siete voi... i veri mostri.”
Il Capitano gli diede allegramente un calcio in pieno petto, dove erano entrate le pallottole, prima di replicare.
“Mostri noi? Ma ti sei visto? Ah, scusa, non puoi più. Ora sta buono, così aspettiamo insieme che spunti il sole. Un’altra sigaretta?”

Vincenzo Barone Lumaga