Il programmatore

Si lasciò trasportare dal flusso di gente fino a fuori dalla stazione della metropolitana, il capolinea della linea rossa che collegava la periferia alla città. Più della metà delle facce erano di stranieri, in gruppi, da soli, con la famiglia, ciascuno che parlava la propria lingua, in una moderna Babele che dal sottosuolo sbucava in superficie, in un parcheggio squallido e grigio di una giornata autunnale anonima come le altre. Marco mal sopportava la folla: stare a stretto contatto con gente numerosa e sconosciuta, ma la curiosità era stata abbastanza forte da portarlo fin lì.
Controllò la cartina spiegazzata stampata da Yahoo - mappe e cercò d’orientarsi. Se non si sbagliava l’indirizzo che cercava doveva essere da qualche parte tra quei palazzoni che costeggiavano la ferrovia di superficie. Erano le cinque e già si faceva buio, del resto era l’orario più probabile in cui sperava di trovare l’uomo - o donna - che cercava. Per il momento quello sconosciuto era per lui solo un nickname che da qualche settimana inseguiva sul canale IRC dedicato a Emule, il programma di filesharing su cui passava buona parte delle sue notti a scaricare materiale di tutti i generi.
S’incamminò lungo la strada tenendo sempre un occhio alla cartina stampata; intorno a lui si vedevano solo piccoli negozi con scritte in cinese, arabo e chissà quali altri lingue, oppure discount con cartelli che indicavano sconti e promozioni. Dall’altro lato del marciapiedi invece c’erano solo palazzi enormi, squadrati, anonimi tanto da sembrare l’uno uguale all’altro. Per l’ennesima volta ebbe la tentazione di lasciar perdere e tornare indietro, a casa. Aveva ancora qualche programma da finire di scrivere per dei committenti di fiducia, invece eccolo lì a perdere tempo dietro a una chimera.
Un paio di negri dalle logore giacche di pelle lo squadrarono male quando passò loro accanto, Marco tirò dritto verificando però il peso confortevole dello spray mace che aveva in tasca del giubbino di jeans. Ordinato via internet con nominativo anonimo e in fermo posta, lo spray urticante per la difesa personale era l’unica precauzione che s’era portato dietro per l’occasione. Il palmare era ben nascosto nella tasca interna, al riparo da occhi indiscreti. Applicando un po’ di social engineering sperava di riuscire a passare inosservato da quelle parti. Non sapeva se l’hacker che stava cercando fosse un tizio pericoloso, ma non si poteva mai sapere. Di certo era in gamba, sfuggente e molto abile, nonostante il suo stupido nickname.
Svoltò in una stradina laterale in cui due lampioni su quattro erano completamente morti. Non c’erano negozi, solo palazzi. Il civico che cercava era il 51. Diede una sbirciata a quello più vicino: 23. Si sarebbe dovuto fare un bel pezzo di via. Sospirando e maledicendo la sua curiosità, s’incamminò con le mani in tasca.
Ma cos’avrebbe chiesto a quell’uomo se l’avesse trovato? Di certo non era un gran chiacchierone “virtuale”, visto che in quaranta giorni che seguiva le sue tracce era riuscito a fargli rispondere solo a un paio di messaggi, entrambi piuttosto beffardi.
Di sicuro gli avrebbe chiesto dove trovava i filmati che metteva a disposizione su Emule e se era interessato a entrare in affari con lui. Marco non era un pornomane, fortunatamente i suoi intrallazzi informatici gli fruttavano soldi sufficienti per frequentare locali dove rimorchiare era facile; non corrispondeva allo stereotipo dell’hacker brutto e sfigato. Tuttavia i filmati di quel tizio erano potenti, roba mai vista prima. Se fosse riuscito a convincerlo a fargliene avere di inediti e completi, avrebbe saputo a chi venderli per un sacco di soldi.
Individuò l’indirizzo: era un palazzo grigio e tenuto male, sei piani in tutto, la maggior parte delle finestre già con le luci accese e le tapparelle abbassate. Controllò il campanello, senza sapere di preciso cosa cercare. L’unica volta che era riuscito a rintracciare l’IP di quell’uomo aveva indicato quel recapito, ma il nominativo era semplicemente indicato con le iniziali P.B.
Si concesse ancora una possibilità di lasciar perdere. In fondo aveva bisogno di mettere in piedi quell’affare per campare? Ovviamente però non c’era solo quello. Subentrava anche la sua curiosità da hacker. “P.B.” non era un programmatore - o almeno, non ne aveva mai dato prova - ma era bravissimo a nascondersi su IRC, su Emule e su ogni altra chat in cui Marco aveva trovato le sue tracce. La roba che scambiava poteva essere facilmente illegale, eppure evidentemente se ne fregava dei controlli della polizia postale.
“Vaffanculo”, si disse, e citofonò. Passò qualche secondo e mentre aspettava ebbe la chiara impressione che qualcuno lo spiasse dalla penombra di qualche tapparella calata. Rabbrividì. Si stava forse cacciando nel giro di qualche banda organizzata? P.B. non gli aveva mai dato quest’impressione, col suo modo strano e sfuggente di fare, i pochissimi riferimenti che dava per essere contattato. E lui era andato a trovarlo addirittura a casa!
<< Chi è ? >> Una voce maschile dal tono basso e dai modi decisi rispose, facendolo sobbalzare.
<< Ehm... io sarei... FireGhost >>, si sentì stupido a usare il suo solito nick fuori dal virtuale, ma doveva far capire chi era. << Io sarei qui in... risposta al suo annuncio. >>
Non che P.B. avesse mai fatto un annuncio. Semplicemente la sua firma usuale diceva “Se vuoi altro devi trovarmi”. Ci fu un attimo di silenzio assoluto, poi l’uomo rispose.
<< Ma bravo, complimenti. Sei solo il secondo che è riuscito a trovarmi. >> Sembrava quasi divertito. << Va bene, ti faccio salire. È una tua scelta. >> La porta d’ingresso s’aprì con un secco scatto elettronico. << Ultimo piano, appartamento sei. >>
Esultò. Forse, in fondo, aveva fatto bene a buttarsi. Senza più pensarci entrò. Un pianerottolo scuro era l’unico modo per salire, visto che l’ascensore aveva un bel cartello di “fuori servizio” appeso alla porta. Si mise di buona lena e iniziò la salita, attraversando piani in penombra, assolutamente silenziosi: nessuna cacofonia di lingue straniere, nessun rumore di pentole, TV o aspirapolveri. Silenzio tombale.
Al quinto piano colse un particolare che lo bloccò di colpo. Una stampa in fondo al pianerottolo gli sembrava famigliare: si trattava di un paesaggio surrealista, rospi volanti con la testa di gatto, sospesi in un cielo violaceo, sotto di loro uomini nudi sdraiati sull’ansa di un fiume. A parte il pessimo gusto del quadro, l’aveva visto in uno dei filmati che aveva scaricato da P.B. che, come tutti gli altri, aveva un nome assurdo completato col nickname altrettanto ridicolo dell’uomo. In quel caso si trattava di un .avi chiamato “finestra sulla perdizione (donna violentata nella tana-painful anal sex, torture)”, ed era il video di una bellissima donna bionda, forse scandinava o anglosassone, violentata in un posto squallido e illuminato solo da dei ceri. L’unico particolare che si distingueva era il dipinto. La donna subiva violenze e torture per quaranta minuti da tre uomini, due di colore e uno bianco e obeso, tatuati e crudeli. Marco non aveva ancora capito se era una scena recitata o meno, ma trovarsi sul set era al contempo raccapricciante e eccitante.
Lasciando perdere il dipinto tornò a salire e arrivò finalmente all’ultimo piano, ancor più buio degli altri. Tre delle quattro porte del pianerottolo erano chiuse con dei lucchetti, una sola, la numero sei, sembrava agibile. S’avvicinò. Nessun nome sopra il campanello, nessuno zerbino. Mise una mano sulla bomboletta di spray in tasca e suonò.
<< Avanti >>, concesse la voce sentita al citofono.
Marco entrò, trovandosi in un minuscolo stanzino d’ingresso senza porte che sbucava subito in un soggiorno illuminato solo da una lampada da tavolo. Un uomo era seduto a quel tavolo, nemmeno a dirlo, con un portatile acceso davanti a sè.
P.B. aveva forse una cinquantina d’anni, segaligno, un volto sottile su cui spiccava un naso adunco. Due occhi grandi, scuri e intelligenti completavano la sua fisionomia.
<< Lei è... >>
<< Sono io >>, tagliò corto il padrone di casa. << Siediti >> disse, indicando una sedia di fronte a sè. Marco obbedì, senza togliere la mano di tasca. P.B. digitò qualcosa prima di alzare ancora gli occhi sul visitatore. << Sei stato bravo a trovarmi. Mi ricordo dei tuoi messaggi... devi essere un hacker bravo come sostieni. Cosa t’ha spinto qui ? >>
<< I filmati >>, precisò subito il ragazzo. Si era immaginato in mille modi P.B., ora che ce l’aveva davanti sembrava più un commercialista o un impiegato postale, tranne per la posa rigida, quasi elegante.
<< Belli vero? E tu hai fatto tutto questo per vederne altri? Devi essere veramente eccitato... >> Sorrise con fare complice. L’appartamento in penombra, un certo odore di ferro o di rame, rendevano quel contesto piuttosto inquietante.
<< No, no... cioè, sì, sono molto “belli”, ma io sono qui più che altro per proporle un affare. Io smercio materiale informatico diciamo un po’ scottante, e ho clienti che andrebbero matti per quei film. Se lei me li può procurare, possiamo guadagnarci entrambi. >> Decise di raccontare la verità, non gli sembrava il caso di mentire a quel tizio.
<< Ah! Un giovane imprenditore >>, scherzò. << Questo è decisamente interessante. Si da il caso che io sia sempre in cerca di gente capace e tu hai dimostrato di esserlo. >>
<< Ottimo >> Marco pregustò i guadagni di quell’affare, ma doveva togliersi un dubbio. << Però... i suoi video sono... film o reali? >>
<< Fa differenza? >> rispose facendo spallucce, << se ti dicessi “reali” te ne andresti per un rimorso morale ? >>
Marco ci pensò. Il suo senso morale si era assottigliato negli anni, finendo a guadagnarsi da vivere violando database, rubando e duplicando programmi, vendendo password crackate. Quello era solo un passo in più e comunque non avrebbe mai avuto a che fare personalmente con le riprese di quei video. << Nessuna differenza, se all’affare aggiungerà la classica ciliegina >>, rilanciò.
<< Ad esempio? >> L’uomo congiunse le punta delle dita davanti a sè, illuminato dal chiarore spettrale del monitor.
<< Vorrei sapere come riesce a risultare praticamente invisibile in rete. Per trovarla ho dovuto sudare sangue, e io sono il migliore in circolazione, da queste parti. >>
<< Ohhh... bene. Qualche segreto del mestiere. Ci sto, non sarai deluso. E ora, per risponderti: si tratta di video veri. Niente finzione. Materiale di primissima scelta. >>
Nonostante tutto Marco rabbrividì. << Ma le... attrici...>>
<< Tutte volontarie te l’assicuro. Fino in fondo. Non immagini dove le persone possono arrivare per avidità, per perversione. Gli attori invece sono veri e propri professionisti. >>
Si alzò, avvicinandosi a Marco. << L’altro che mi trovò prima di te mi chiese di collaborare spinto dalla sua libido. È bravo, ma tu forse sarai meglio. Vorrei mostrarti il tuo futuro collega. >> Cingendolo con un braccio lo spinse gentilmente ma con fermezza fino a una porta chiusa. L’aprì. << Ecco il mio studio >>, quindi spinse il ragazzo all’interno.
Marco sbarrò gli occhi. La stanza in cui erano entrati era un enorme groviglio di cavi di ogni tipo: elettrici, USB, fili telefonici. Erano tesi da un muro all’altro, come una ragnatela, mentre diversi vecchi monitor appesi al soffitto trasmettevano solo schermate di segnale disturbato. Ma il suo sguardo si fissò sull’uomo intrappolato in quei fili, sospeso a un metro da terra al centro della stanza. I cavi gli perforavano la pelle, la carne, entrando in un corpo nudo, gonfio, pallido. Gli occhi di quel poveretto erano vacui, le pupille rivoltate indietro.
<< Ma che cazzo...>> afferrò lo spray e fece per puntarlo verso P.B., ma in quel momento dei cavi schizzarono verso di lui, afferrandogli braccia e gambe con forza brutale.
<< Un nuovo programmatore >> sorrise il suo ospite, << del resto per downloadare i demoni torturatori su questa dimensione occorrono hacker capaci. >>
In quel momento i cavi perforarono la carne e s’agganciarono ai nervi. Dolore e sovraccarico di software furono contemporanei. Gigabyte di sofferenza e programmi impensabili. Immagini di sesso, violenza. Visioni infernali.
E la consapevolezza sul suo padrone.
Nickname: Baaloon. BAALoon.
P.B.
Principe Baal.

Alessandro Girola