Gocce

Riprendo conoscenza giusto il tempo necessario per sentire il rumore dei suoi tacchi sul pavimento.
Passi svelti che si allontanano. La porta si apre, altri due passi, poi l’echeggiante suono della chiusura.
Rimango nel silenzio più totale. Solo uno strano gocciolio mi tiene compagnia.
Provò ad aprire gli occhi, ma non ci riesco. Non posso muovere un solo muscolo, e anche tre dei miei cinque sensi mi hanno già dato l’addio.
Rimangono solo l’olfatto, il profumo di lei ancora mi solletica le narici, e l’udito.
Un’altra goccia.
Cerco di focalizzare il mio pensiero sulla mia posizione, ma è una fatica enorme; poi, piano piano, ricordo. Sono disteso, a pancia in giù, sul letto, con la testa a penzoloni oltre il bordo.
Le gocce che sento altro non sono che le ultime liquide energie del mio corpo che defluiscono dal cranio sfondato.
Sì lei mi ha colpito, con qualcosa di tremendamente duro. Il perché non lo ricordo, probabilmente se n’è già andato dalla mia mente, assieme al sangue sul pavimento.
Francamente la cosa non ha importanza, per me.
Non sento alcun dolore, anzi, a dirla tutta, non sento altro che le gocce del mio sangue che bagnano il pavimento. So bene che questi sono i miei ultimi istanti di vita, però non provo niente, né disperazione, né angoscia, niente. Sono infagottato da una strana e rassicurante sensazione di torpore.
Né paura, né rabbia. Solo un’avvolgente sonnolenza.

Non riesco più a muovere neanche un muscolo. Non tanto perché non risponda più del mio corpo, ma proprio perché, in realtà, non voglio più muovermi.
Ad ogni goccia che cade i miei pensieri scivolano via e la mia mente si focalizza sempre di più su quella nota liquida e regolare.
Plic.
Plic.
Sono troppo stanco per pensare, ormai posso solo godermi quel suono ipnotico che mi sta accompagnando verso chissà dove.
Plic.
Plic.
Il ritmo cala, il mio cuore si sta arrendendo.
Plic.
Beh, pazienza...
Plic.
Chissà se l’eco di una goccia resta nelle orecchie di un morto.
Silenzio.

Fabrizio Vercelli