Pratiche evase

Giovanni occupava quella scrivania da anni, così tanti che nemmeno lui se lo ricordava.
Una scrivania semplice, anche abbastanza grande; ma lui non se ne rendeva più conto, tutta la superficie della scrivania era occupata da faldoni polverosi, restava giusto uno spazio al centro in corrispondenza di dove era seduto, tale da poter prendere una cartella, aprirla, visionarla e richiuderla, per poi porla in un faldone che andava a finire per terra.
Sì, la stanza in cui lavoravano Giovanni e Stefano, il suo collega, era piena all'inverosimile di faldoni, saturi di pratiche da evadere.
Era libero giusto un corridoio che dalla porta di ingresso arrivava all'unica finestra della stanza; ah, la finestra era posta tre metri sopra il pavimento, e i suoi vetri erano chiusi anch'essi da tempo immemorabile; altro spazio era quello che serviva ai due impiegati per raggiungere le rispettive scrivanie.
Un lampadario ormai privo di lampadine ma adornato di ragnatele sovrastava il tutto; l'unica luce era data dalle lampade poste sulle due scrivanie.
Ormai il tempo non contava più in quella stanza, spesso si entrava la mattina e si usciva la sera; Giovanni e Stefano non avevano mai tempo per guardare fuori dalla finestra se era giorno o sera, se era bello o se pioveva, se c'erano gli uccellini cinguettanti o gli aerei supersonici.
Il loro tempo passava in mezzo a quelle pratiche, che dovevano essere evase, sempre, in continuazione.
Ed anche tra loro due, non c'era comunicazione, occupavano ciascuno il proprio spazio, non curandosi l'uno dell'altro.
Spesso era Stefano quello che andava via prima (aveva una famiglia), mentre Giovanni, single da sempre, si tratteneva fino a tardi.

Per lui contava solo evadere le pratiche, null'altro. E se glielo avrebbero permesso, se le sarebbe portate anche a casa, o addirittura avrebbe dormito nella stanza dove esse giacevano.
Ormai lavorava con un ritmo da fabbrica, tanto che Stefano pensava che non era umano, ma un androide.
Sembrava che nulla potesse spezzare la sua monotonia, fino a quando un bel giorno una parola trovata all'interno di una pratica lo immobilizzò sulla sedia: tale parola era “luna”.
“La luna” pensò Giovanni fra sé “non mi ricordo neanche com'è fatta!”.
Allora si voltò verso la finestra, rendendosi conto che era sera.
“E' sera, quindi c'è la luna!” ma dalla sua scrivania non riusciva a vedere bene, la finestra era troppo alta; si alzò quindi dalla sedia per avvicinarsi al muro e vedere se c'era una scala da potervi appoggiare, ma nulla.
“Come faccio, voglio vedere la luna!” pensò agitato.
Si guardò in giro, ma nessuna scala era presente nella stanza, solo quei mucchi di faldoni.
Allora gli venne l'intuizione: usare i faldoni per creare una scala fino alla finestra! E così si mise subito all'opera, prelevando i grossi faldoni e mettendoli uno sopra l'altro, a file sovrapposte, fino a quando non terminò la scala.
Rimase un attimo interdetto “ma che cavolo sto facendo!”, poi si decise e cominciò a salire gli scalini di faldoni, prima titubante poi via via con maggiore sicurezza: alla fine giunse alla finestra e la vide, in tutta la sua bellezza.
“La luna, quanto è bella, oggi è anche piena! E le stelle, sì le stelle, eccole lì, tutte incastonate nel firmamento!”; mosse la mano verso la maniglia, sperando che dopo tanti anni ancora funzionasse; e stranamente la maniglia girò tranquillamente, come se fosse nuova.
L'aria fresca della sera lo colpì con dolcezza sul viso, lui inspirò profondamente, sentendosi all'improvviso leggero.
“Oh, quanto vorrei essere lassù, accanto alla luna, una stella tra le stelle!”.
Il giorno dopo Stefano entrò nella stanza e notò la finestra aperta e la scala creata con i faldoni; non c'era traccia di Giovanni, eppure la luce della sua scrivania era accesa e la sua giacca era ancora appesa all'appendiabiti.
Stefano avvisò il loro superiore del fatto e subito iniziarono le ricerche dell'impiegato scomparso, in ogni angolo del palazzo e poi a casa sua, ma niente, di Giovanni non c'era più traccia.
A Stefano sembrò buffo preoccuparsi di qualcuno che in fin dei conti neanche conosceva.
Ritornò nella stanza per proseguire il suo lavoro.
Lavorò molto e non si rese conto dell'ora che si era fatta; vide che fuori era buio e quindi lasciò la stanza e poi il palazzo per tornare a casa.
Appena fu in strada, come ogni volta, alzò lo sguardo verso il cielo, per guardare la luna; notò che c'era un qualcosa di diverso stavolta, inizialmente non capì cosa, poi se ne rese conto: vicino alla luna c'era una stella che non aveva mai visto prima, più luminosa delle altre e per un attimo ebbe la sensazione che ci fosse qualcosa di familiare in lei... ma poi pensò che era solo immaginazione, dopotutto era stata una giornata stancante e chissà dove cavolo era finito Giovanni.

Giovanni Kaiblinger