Fantasmi

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

La casa dove abito è zeppa di fantasmi.
Se ne stanno nascosti dappertutto, e di notte, soprattutto di notte, quando cala il buio fin dentro le stanze, quando il vento si sente, loro escono allo scoperto, e niente li ferma nel venire a torturarmi.
Il giorno mi lasciano abbastanza in pace.
Un po’ perché io, indaffarato da mille piccole occupazioni, non mi curo dei rumori sinistri, degli scricchiolii, del cigolare insistente, di un battere ritmico.
Un po’ perché loro sanno di avere meno potere con la luce del sole.
E’ la notte la loro reggia, nella notte il loro splendore oscuro, tutto gli è permesso.
Di notte vengono, non mi toccano, ma se ne stanno lì, fissi, verso di me, con quell’espressione del viso e del corpo ghiacciata dall’orrore, la pelle cadente, gli occhi vuoti.
Non mi toccano mai, ma a modo loro lo fanno. Terribile, terribile.
La prima volta che li avvertii, ovviamente non pensai a loro, a fantasmi.

La casa è vecchia, ha problemi, mi dissi. Ma cresceva lenta una regolarità costante, in quei rumori, in quegli aliti d’aria fredda, in quelle voci biascicate appena percettibili.
E non appena lascia che nella mia mente penetrasse il primo, corrosivo, dubbio (l’ipotesi della loro esistenza), ecco che i fantasmi iniziarono a manifestarsi.
Sottili, sguscianti, le prime volte solo la coda dell’occhio li coglieva.
Quel tanto da non pensare ad allucinazioni, quel poco da capire di cosa si trattasse.
Sì, perché anche se non li avevo mai visti prima in vita mia, c’era poco da confondersi: erano fantasmi.
E sono sicuro che ognuno di voi, non appena li vedesse, li riconoscerebbe come tali.
Tutti noi li riconosciamo, i nostri fantasmi.
I miei hanno il volto di tutti i familiari che ho ucciso e murato di sotto. Potrei mai confonderli?

Vito Ferro