Pensi mai alla morte?

- Se non ti decidi a mettere la testa a posto non combinerai nulla di buono! Il faccione tondo del nonno, morto almeno quindici anni fa, sembra materializzarsi sul soffitto della cantina. La cicatrice che prolungava di qualche centimetro la bocca è in primo piano ma, come allora, cerco di non guardarla, perché in quel caso si arrabbiava molto. L’immagine si dissolve e appare al suo posto il corpo nudo di una femmina che conosco bene: distesa sul letto, le gambe leggermente divaricate. Il candore della carnagione è interrotto solo dalle piccole aureole dei capezzoli e dalla macchia scura del sesso.
La mia testa è affollata dalle immagini del nonno che mi cazzia e del corpo nudo di Annalisa, la pelle così bianca che anche adesso al solo pensiero mi accendo.
Non immaginavo fosse la donna del capo. L’ho sbattuta per una settimana, poi arrivederci e grazie. Mai avuto la testa per le cose serie. Ho sempre vissuto senza cercare di capire.
La puttanella pelle di neve si è vendicata, spifferando ogni cosa ad Alfredo, il boss. E adesso sono rinchiuso in uno scantinato puzzolente immerso nel mio sangue. La mano destra sembra un uccello che ha avuto un incontro ravvicinato col parabrezza di una Ferrari e le ginocchia assomigliano a ricci spiaccicati dai camion sulle strade subito dopo il temporale. Per muovermi punto la mano sana sul pavimento e striscio lentamente superando macchie di umidità simili a grosse ustioni. Sono una grossa lumaca che lascia una scia di sudore e sangue. Mi fermo di continuo, esausto, a guardare la luce rossastra di un sole morente che entra dalla piccola finestra in alto. L’unico contatto con la realtà, tranne quando arrivano i Suoi scagnozzi.
- Morirai lentamente, e soffrendo parecchio. Così mi ha sussurrato compiaciuto Alfredo, poi ha sputato sulla mia faccia, si è girato ed è sparito salendo velocemente le scale, non prima di aver fatto un cenno di intesa ai Suoi. I due invertebrati si sono avvicinati lenti, strisciando i piedi sul pavimento e, ridendo, mi hanno sparato alla gamba. Mentre rotolavo uno di loro titillava col dito il bottone della giacca, dalla bocca usciva un rivolo di saliva. Speravo mi finissero subito, invece si sono allontanati parlottando felicemente.

Ogni tanto sono tornati a farmi visita, aprendo la grossa porta nera intonando una pietosa cantilena: - arriviamo noi, e per te un altro bucarello, bello bello. Mi hanno sparato all’altro ginocchio, poco dopo alla mano. Non sanno che le mie fibre nervose funzionano male. Una disfunzione dalla nascita, secondo mia madre per l’uso del forcipe, che provoca una bassissima percezione del dolore. Forse per questo non sono mai riuscito a prendere nulla sul serio.
I brandelli di carne della mano traballano al rimbombo dei passi sulle scale. Stanno ritornando.
Mi guardano sogghignando e sparano all’altra mano. Mentre osservo i mozziconi delle dita sparsi sul pavimento sento una debolezza avvolgermi come una nuvola di gas. Alzo gli occhi verso il soffitto ma non mi appaiono né il nonno né Annalisa. Tra poco mi addormenterò, forse per sempre.

Andrea Cavallini