L'emblema del fato - di Antonio Lo Gatto

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

Ero stato appena mangiato e quelle carni tremule, vacillanti dal mio corpo, si staccarono a forza di morsi. I canini si contorcevano dentro l'ombelico e costruivano semicerchi di sangue e budella strappate via, da chi è stato come me.
Non mi resi conto d'essere morto, perché senza frammenti di cranio e le dita della mano destra, cominciai a camminare con passi tardi e brulicanti di debolezza. Non avevo più ragione di quale forma esistenziale facevo parte, l'unica cosa che sentivo, era la fame, pur non avendo uno stomaco mio.
Quello che provavo sulla mia pelle screpolata e pungente al solo tatto, andavo contro ogni religione ed ogni sentenza divina, era una punizione di Dio o semplicemente l'emblema del fato che si imprimeva nel presente, su di me e su altri uomini mangiati, diventati mangiatori?
Vidi una donna mutilata sull'altare di una chiesa, vicino alla croce di Cristo, alzai gli occhi verso di lui, non stavo chiedendo perdono, ma la clemenza per un istinto incontrollabile, inconciliabile con la volontà dell'onnipotente, ma soltanto un'effimera rozzezza, inabile davanti a mani più potenti, che giunte, potevano porre fine ad una crudeltà della natura. Mangiai lei e il bimbo nel suo grembo sotto le lacrime del creatore, lui, che sotto forma di luce, divinamente sadico, mi dava sofferenze e perdono.
Ero in putrefazione, ma desideravo dare ad altri la morte per potermi nutrire del loro vomito, delle loro interiora, della loro anima.

Antonio Lo Gatto