Grand tour atomique

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

Dopo ore di cammino, il ragazzo faticava a star dietro al Morto.
Si era tenuto agevolmente al suo fianco per troppi chilometri, poi, superate le campagne e le case distrutte, la stanchezza aveva preso il sopravvento. Il Morto e gli altri zombi del branco avanzavano lenti ma inarrestabili.
Il ragazzo no. Aveva fame. Sonno.
Vedendolo arrancare, il Morto lo fissò a lungo con i suoi occhi biancastri. Scosse la testa facendo cadere pezzi di cuoio capelluto.
- Stai cominciando a perdere colpi, ragazzo. Forse è il caso di mollare.
- Fanculo. Non se ne parla.
Il Morto alzò le spalle, quindi segnalò agli altri di sostare. La mandria di cadaveri ambulanti traballò sulle gambe nel fermarsi. Quelli che volevano protestare avevano laringi troppo rovinate per farlo, per cui obbedirono.
Non avevano vere gerarchie. I più integri dirigevano i malconci. Dalla “resurrezione” in poi andavano cercando qualcosa, spinti dalla fame e da un intimo senso di vergogna.

Il ragazzo, unico sopravvissuto della sua comunità, si era unito a loro. Non era scappato come facevano i vivi nel vederli. Pareva affascinato dal branco, e da allora lo seguiva come un cagnolino, dapprima molestato, poi adottato dagli zombi, in fondo indifferenti ai propri stessi appetiti.
- Ne devi fare di gavetta per diventare come noi. - Diceva il Morto per spronare il ragazzo. Così riprendevano la marcia.
- Dove andiamo?
- Vedrai.
La devastazione delle periferie lasciava posto alle autostrade sventrate dalle bombe. Procedere diventava difficile. Molti perdevano una gamba nei fossi, altri si rompevano del tutto.
Raggiunsero la città di notte.
Nessuno badava a guardarne i palazzi, i monumenti. Sotto una Luna appannata, solo una debole traccia istintiva li spingeva.
- Eccoci. - Fece il Morto accennando un saluto al ragazzo.
Il cimitero accolse tutti come una madre affettuosa.

Fabio Lastrucci