La sorellina

Oscar, cinque anni, un metro e dieci per venti chili. Un bambino normale; sorridente e dolce, con la tenerezza che caratterizza tutti i bambini. Così fu, almeno, fino a quel giorno, quando i suoi genitori tornarono a casa dall’ospedale e gli dissero che sarebbe diventato un fratello maggiore. Lui li guardò con occhi stupiti, perplesso.
«Presto avrai una sorellina, non sei contento?»
«No.» rispose deciso lui, andando a chiudersi in cameretta.
Mamma e papà non ci fecero caso, ritenevano che fosse una normale fase, solo un po’ di gelosia, che prima o poi sarebbe sparita.
Oscar era piccolo, ma sapeva che quell’evento avrebbe cambiato drasticamente la sua vita; avrebbe dovuto condividere l’affetto dei suoi genitori con la nuova arrivata, non sarebbe più stato il loro unico pensiero e lui li voleva tutto per sè. Non era mai stato geloso o egoista, ma fino a quel momento non aveva mai avuto motivo di esserlo.
Nei mesi successi, Oscar divenne sempre più capriccioso e irritabile, man mano che si avvicinava il momento della nascita della bambina. Quei “no”, che prima accettava senza fare troppe discussioni, ora erano diventati motivi di continue polemiche; bastava un nonnulla per farlo andare in escandescenze e farlo scoppiare in un pianto isterico.
I suoi genitori fecero di tutto per far sì che non si sentisse trascurato, lo coccolavano, giocavano con lui come avevano sempre fatto, senza però viziarlo, come sarebbe venuto naturale fare; così a volte la situazione sembrava tornare alla normalità, Oscar ritornava a essere il bambino di una volta, buono e dolce, ma dopo qualche giorno, di nuovo, tutto precipitava.
Fu il giorno in cui nacque la bambina che, inaspettatamente, Oscar cambiò atteggiamento.
Arrivò in ospedale tutto ben vestito, con le scarpe da tennis che scricchiolavano sul linoleum lucido, e sottobraccio il suo album da disegno. Davanti alla porta della camera si bloccò: sua mamma era lì, seduta sul letto, che allattava la bambina.
«Ciao...» mormorò

«Ciao piccolo mio» rispose lei «vieni a conoscere la tua sorellina?»
Oscar si avvicinò lentamente; osservò prima la mamma e poi la bambina e dopo un attimo di esitazione la baciò sulla fronte.
«E’ bella...» disse sorridendo.
Un sorriso forzato, forse non del tutto sentito, ma almeno ci stava provando. Così pensarono i suoi genitori, mentre Oscar si sedeva sul letto libero di fronte e cominciava a disegnare nel suo album.
Da quel giorno, il bambino, diventò sorprendentemente docile, non diede più segni di intemperanza e ubbidiva senza far storie alle richieste dei genitori. Tuttavia era sempre serio, e pensieroso e sembrava voler evitare ogni contatto con la bambina, da cui si manteneva costantemente lontano, salvo in pochissime occasioni, in cui sua madre lo sorprese a osservare la sorella mentre dormiva nella culla. In quelle occasioni, lei si spaventava sempre, perché vedeva negli occhi di suo figlio una luce cattiva, di odio, ma non credeva che un bambino così piccolo fosse in grado di provare quei sentimenti e finiva col rispondersi che era solo la sua immaginazione.

 

Quella sera, Oscar andò a letto subito dopo i cartoni animati senza fare obbiezioni, come aveva imparato a fare da un po’ di tempo a quella parte. Prima però, controllò che sotto al materasso ci fosse ancora quella cosa che aveva nascosto quel pomeriggio; quando fu certo che era ancora lì, spense la luce e si infilò sotto le coperte.
Più tardi, quando fu certo che sua mamma e suo papà si fossero addormentati, prese l’oggetto da sotto il letto e silenziosamente, andò a trovare sua sorella. La porta della camera era aperta, per far sì che i suoi genitori avrebbero sentito se la bambina si fosse svegliata piangendo, lui entrò senza accendere la luce; per quel che doveva fare era sufficiente quella che filtrava dal corridoio. Si sollevò in punta dei piedi e guardò dentro la culla: la bambina stava pacificamente dormendo e per un secondo la trovò realmente bella, ma poi gli tornarono in mente tutte le volte che era stato sgridato, tutti i giochi a cui aveva dovuto rinunciare, tutti quegli abbracci che non aveva più ricevuto da quando lei era entrata nella sua vita e in un attimo sentì l’odio crescergli dentro.
Entrò nella culla per essere più comodo, poi sollevò in alto il martello che teneva in mano, ma un istante prima che riuscisse a calarlo sulla testa di sua sorella, qualcosa lo bloccò. La bambina aveva gli occhi spalancati e lo stava osservando.
Oscar cominciò a tremare e solo un gorgoglio gli uscì di gola: quelli non erano gli occhi di una bambina, erano gli occhi di un animale feroce, di quegli animali che vedeva sempre ai documentari la domenica mattina. Poi la bambina gli sorrise, gli sorrise con gialli e affilati denti e allora lui ritrovò il fiato per urlare, ma fu un attimo troppo tardi. In un instante lei gli fu addosso e affondò i lunghi canini nel suo collo, squarciandogli la piccola e tenera gola e mentre il mondo cominciava a diventare grigio e indistinto, calde lacrime gli bagnarono il volto, ma non era per paura che stava piangendo, la sua era felicità, perché assieme alla vita, sentiva anche scivolare via tutto quell’odio che tanto lo aveva fatto soffrire.

Marco Contin