Nemmeno tanto buone

Avevo appena parcheggiato l’auto poco lontano dall’abitato di Flambro, a una cinquantina di metri da una casa colonica abbandonata, e subito mi ero infettato di un’insana smania di dovervi entrare.
Ero lì trascorrere un’ora pescando nelle acque di sorgiva del Brodis, lasciandomi carezzare dagli ultimi raggi di sole, ma quando quelle finestre, coperte di rovi, mi rubarono la prima occhiata, mi parve che l’unica cosa con un senso, quella sera, fosse entrare in quel rudere. Così andai.
Anche la porta, per una buona metà, era coperta dai rovi, e per superarli mi scorticai le mani.
Appena dentro realizzai di essere uno sciocco. Calcinacci su calcinacci. A malapena c’era traccia del tetto e i muri erano coperti delle solite scritte volgari e grossolane, inneggianti ai Doors, Ozzy Osbourne e alla figa. Solo quest’ultima, pensai con un sorriso, andava ancora di moda.
Doveva essere da parecchio che nessuno vi metteva piede, pensai. Chissà cosa speravo di trovare.
In ogni caso, tanto valeva salire al piano superiore. Anche lì non c’erano altro che scritte e calcinacci. Solo una stanza conservava un angolo di copertura, che la lasciava in penombra.
E proprio in quell’angolo c’era una sedia, ma quando i miei occhi si abituarono, vidi che non era vuota, ma vi sedeva una vecchia, vestita di nero, che mi fissava!
Sobbalzai. Mi parve che il cuore volesse schizzarmi fuori dalle orecchie. Una vecchia? Lì tra quei ruderi? Com’era possibile?! No, non poteva essere. Era sicuramente un fantoccio, messo lì per scherzo.
- Buonasera. - ecceggiò una voce da cornacchia, quasi subito.
- B... Bu... Buonasera... - risposi, immobile come un baccalà.
Sprofondava il viso rugoso in un fazzoletto nero, e i capelli grigi, disordinati, le coprivano gli occhi come una stravagante ragnatela.
- Giovanotto, - disse - per favore, potresti portarmi un bicchiere d’acqua? Ho una sete... Prendi pure il bicchiere.
E infatti, poggiato su un mattone, c’era un bicchiere di quelli per il taglio di vino, che ormai non fabbricano quasi più. Il movimento del suo braccio che indicava il bicchiere mi scosse. Mi voltai e mi gettai per le scale a rotta di collo, come un forsennato, incurante delle spine che mi graffiavano la faccia. Mi fiondai in macchina, imprecando, e fuggii avvolto dal rumore della ghiaia che sbatteva sulla lamiera.
Quando il batticuore cessò, una volta a casa, ripensai a mia nonna, che da piccolo mi raccontava sempre delle agane, le streghe che vivevano vicino ai ruscelli di quelle parti. Che stronzate, pensai.
Solo la mattina seguente, quando salii in auto e vidi un bicchiere rotolare tra i pedali, mi ricordai che diceva sempre: - Non sono streghe cattive... ma nemmeno tanto buone.

Raffaele Serafini