Dolcezza materna

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

Squassata dal dolore urlò fino a rigurgitare, poi svenne e cessò di spingere. L’orrenda creatura, incastrata nel tunnel vaginale, si dimenava emettendo stridii simili a quelli di un’aragosta gettata viva nell’acqua bollente. Quella testolina deforme non smetteva di torcersi; l’ostetrica, pur inorridita prese a premere sul ventre della sciagurata, un pezzetto di collo, più grosso della testa, cominciò a spuntare. La dilatazione era al limite. La madre si riebbe, spinse via la dottoressa, ed aggrappandosi all’asta della flebo s’alzò trascinandosi fuori dalla sala parto. Sbavando sangue deambulò per il corridoio con la creatura sempre più stridente che gli penzolava tra le gambe; “Aiutatemi!” invocava con voce spettrale, proiettando le braccia verso la gente che appiattendosi sul muro la scansava atterrita. Poi crollò in ginocchio, la testa cianotica dell’essere batté violentemente sull’asettico pavimento, all’impatto spalancò gli occhi, erano senza pupille, solo il bulbo oculare color catarro.

Pur con gli aghi spezzati nelle vene la donna si trascinò a carponi usando le sole braccia, una scia di liquido amniotico la seguiva ed il cranio deforme della creatura che sfregava sul pavimento, pareva una gigantesca emorroide. Con la disperazione in corpo la sciagurata afferrò la testa della creatura e tirò, tirò fino ad estrargli il collo taurino; libero da quella morsa, esso spalancò l’abnorme bocca aspirando ossigeno. Scalciando e spingendo nel ventre della donna l’essere deforme decise di far da sè, e lacerando le carni della madre, scivolò finalmente fuori. Quando l’ostetrica, armata di bisturi, s’avvicinò decisa ad ammazzarlo, con raccapriccio lo vide masticare la placenta con aguzzi ed efficienti dentini. “NO!” implorò la puerpera, che presa delicatamente la creatura tra le braccia se l’accostò al seno, poi, con dolcezza materna gli ripulì il volto e gli baciò la fronte. Sorridendo appoggiò la guancia sul testolino e chiuse gli occhi per sempre.

Borabora