Le mani sono la prima cosa

Le mani sono la prima cosa. Lo sono state e sempre lo saranno. Non ho nessuna memoria dei miei genitori, morirono che ero ancora troppo piccolo. Ho sempre vissuto con una lontana zia, l’unico parente che avevo. Si chiamava Kostia. Fu lei ad insegnarmi il potere oscuro e fascinoso delle mani. Zia Kostia era una lavatrice di salme. Nel vicino ospizio, al fianco di oscure suore misericordiose, assisteva i moribondi per poi - dopo la loro dipartita da questo mondo - prendersi cura delle misere spoglie mortali lavandole e vestendole.
Zia Kostia era una donnina minuta, insignificante. Se ripenso però alle sue mani... Ah, le sue mani! Sembravano provenire da una scultura di Rodin tanto erano vere e come permeate da una vita propria. Mani che, ai miei occhi di bimbo, sembravano sottintendere qualche cosa d’altro.
Una sera sorpresi la zia a versarsi il liquido contenuto in una piccola ampolla di vetro sulle mani per poi strofinarle energicamente.
- Cos’è? - chiesi incuriosito.
- Profumo - rispose lei.
- E te lo versi sulle mani? Perché lo fai, zia?
- E’ per via della puzza. Non dirmi che non la senti anche tu. E’ strano, vero? Io le lavo in continuazione ma questa puzza non vuole andarsene.
- Di cosa puzzano le tue mani, zia?
Ricordo che prima di rispondere mi sorrise. Un sorriso così estraneo che mi sentii raggelare. - Di cadavere, ragazzo mio - disse poi. - Le mie mani puzzano di cadavere.

E’ l’alba. Le poche nuvole si stagliano nel cielo come ecchimosi, lividi violasti sulla pelle spettrale di un morto.
L’uomo sta seguendo la ragazza con il motore al minimo già da un po’. La sta osservando camminare lungo il ciglio della strada. Lei zoppica sgraziatamente perché le si è scollato un tacco. Alla fine l’uomo si decide, accosta al ciglio e frena. Il finestrino si abbassa con un ronzio di insetto.
- Sali - dice lui.
La ragazza non se lo lascia ripetere due volte. Nel montare a bordo l’orlo della gonna sale. Una grossa smagliatura della calza lascia intravedere il brutto colorito della carnagione sulla coscia.
La macchina riparte senza scosse.
- Mi chiamo Greta - dice la ragazza. - Conosco un motel poco distante.
- No, niente motel - risponde l’uomo. - Preferisco portarti da me. Non temere - aggiunge poi, - vivo solo, nessuno ci disturberà.
Nessuno ci disturberà. E’ stata una sua impressione oppure in quelle parole ha percepito come un velato senso di minaccia? Greta non dice niente. Resta in silenzio a guardare fisso davanti a lei. Oltre il vetro sporco del parabrezza scorre vitreo lo scenario di quartieri periferici ancora deserti.
Poco dopo l’uomo sta aiutando la ragazza a scendere le scale che portano al sottoscala di un tetro caseggiato in cemento. Infilata una chiave nell’uscio di una porta in legno intagliato, si fa di lato per farla accomodare. Per un attimo Greta esita. C’è qualcosa di estremamente deprimente in quella luce tenue, in quel silenzio... Oltrepassato l’uscio un odore di chiuso e di acqua putrida la prende alla gola. Si guarda intorno: l’arredo è squallido, senza personalità. La carta da parati alle pareti sembra cadere a brandelli. Ci sono vasi di terracotta poggiati sul nudo pavimento. Contengono crisantemi. I fiori sono però vizzi ed appassiti.
- Puoi metterti a tuo agio - dice lui.
- Non vuoi che mi spogli? - chiede lei spinta da una necessità, che all’improvviso si è fatta urgenza, di rendere esplicita quella situazione.
- Spogliarti? Oh, no Greta. Voglio solo vedere le tue mani.
Una piccola scossa nervosa solleva per un attimo il labbro della ragazza in un rictus mostruoso.
- Perché vuoi vederle - chiede. - Sono brutte mani le mie. Non è per le mani che mi pagano gli uomini.
- Per cosa ti pagano gli uomini?
- Gli uomini mi pagano per altre parti di me.
- Gli uomini a volte sbagliano, Greta. Le mani sono la prima cosa.
Riluttante Greta protende le mani verso l’uomo. Lui afferra delicatamente gli esili polsi in modo da poter apprezzare sotto i polpastrelli, il battito asincrono ed accelerato del cuore. Poi si sofferma ad osservarle lungamente. In effetti quelle di Greta sono mani orribili, con unghie spesse e rosicchiate fino all’osso. Sulle palme la pelle è ruvida e cosparsa di callosità simili a piccoli isolotti gialli.
Stringendo i polsi più saldamente l’uomo tenta di portarsele al viso. Vorrebbe poterle respirare, conoscerne l’intimo odore.
Lei le ritrae con forza facendo un passo indietro.
- Non voglio - dice.
- Perché Greta? Hai forse paura?
- Paura? - ripete lei come domandandoselo. - Quelle che fanno il mio mestiere hanno sempre paura. Voi uomini siete strani. Le cose sbagliate che vi portate dentro le fate emergere solo quando è ormai troppo tardi. Questa tua casa così buia e triste... Tutti questi fiori che stanno morendo... Non mi hai portato qui per fare sesso, vero?
Fare sesso! All’uomo quasi scappa un sorriso. Sa bene che la grave forma di depravazione affettiva dalla quale è affetto renderebbe un rapporto con qualsiasi donna l’equivalente di scoparsi un angolo tra due pareti.
- No Greta, niente sesso. Non è per questo che siamo qui.
- Per cosa allora...
- Stiamo aspettando una persona.
Greta ha un sussulto. Di nuovo quella scossa nervosa che le solleva per un attimo il labbro. Scuote la testa. Vorrebbe trasmettere ai propri modi una risolutezza che sente di non avere. - Non voglio essere coinvolta in situazioni strane - dice.
- Situazioni strane?
- Fare l’amore con altri mentre tu guardi, intendo.
- Oh, come puoi pensare una cosa simile - la interrompe lui. La sua voce è morbida, suadente. - Stiamo solo aspettando una vecchietta.
- Una... vecchietta...
- Già Greta, una vecchietta. E quando sarà qui, potrai vedere le sue mani. Le sue mani che sono così... misericordiose. E tu avrai il privilegio di sentirle sul tuo corpo... Sì, Greta, sul tuo corpo, perché lei sta venendo solamente per te. Viene per lavarti e per vestirti. Viene per purificarti. A volte mi chiedo come faccia a tornare ogni volta che porto a casa delle ragazze dal momento che è morta da molto tempo. Ascolta! Non ti sembra di sentire i suoi passi?
Il riverbero dell’acqua stagnante nei vasi dei crisantemi sta creando ipnotici giochi di pulsazioni concentriche sul soffitto. L’uomo non riesce a distogliere lo sguardo dalle zone d’ombra che creano gli incavi tra le clavicole della ragazza.
- Non devi aver paura, Greta - dice, - devi solo lasciarti andare. Dolcemente.
Con un gesto lento e fluido le sfiora la gola con una mano. Per Greta è come un segnale. Rapida e inaspettata balza all’indietro e in un attimo ha raggiunto la porta. L’uomo la sente salire caoticamente la rampa di scale e sente il portone dell’edificio sbattere. Ormai ha guadagnato la strada, ed inutile sarebbe qualsiasi tentativo di raggiungerla.
Passano interminabili momenti, poi l’uomo scuote la testa. “La prossima volta non sarà così semplice. Oh sì Greta, non lo sarà, te lo prometto” pensa tra sè.

 

***

 

Le mani sono la prima cosa. Lo sono state e sempre lo saranno. Per molti sono gli occhi lo specchio dell’anima. Si sbagliano. Gli occhi sono ingannevoli. Da bambino mi capitava di mettermi davanti allo specchio e guardarmi lungamente con attenzione. La zia diceva: - Finirai con il vedere una scimmia. - No, non era quello. Quello che finivo con il vedere erano minuscoli me stesso riflessi dentro la cornice nera delle pupille. E quei minuscoli me stesso... Ah, quelli...

Gino Spaziani