La strega

La vecchia Peggy morì in un nebbioso pomeriggio di fine dicembre. Era piccola e zoppa e la gente diceva che per tutta la vita aveva fatto le stregonerie.
La sua casa quel giorno è grigia e fredda. I pochi parenti venuti per il funerale sono in attesa, in piedi nella piccola cucina.
Io sono stato uno dei pochi a vegliare la salma e ad assistere agli spaventosi fenomeni che si sono verificati.
Alle quattro e trenta della sera una nebbia densa fuma per la via impedendo di vedere a pochi metri.
Chiudiamo le imposte e mettiamo il catenaccio alla porta della cucina che comunica con il portico di lato, pieno di buio e nebbia. Il freddo è fastidioso nonostante l’umidità fuori che rende opachi i vetri.
Il cugino Jerome lavora per accendere una stufetta di ferro mentre lo zio si frega le mani per riscaldarsele. La parentela fra noi è molto lontana e ci conosciamo poco. Le foto ovali appese alle pareti sono di personaggi con baffoni e donne d’altra epoca morti tanto tempo prima cosicché nessuno li ricorda.
Finalmente arriva un po’ di calore.
Zia Betta, la sorella di un cognato della morta deve andare via e si fa accompagnare dallo zio, così restiamo io e il cugino. Egli, un uomo di quarant’anni con baffetti e cravatta sta seduto rigido sul divano.

Un poco più tardi sentiamo dei rumori di ferraglia di sopra e decidiamo di andare a vedere. La scala di legno è stretta e ripida. La casa è formata da tre stanze: una sotto e due al piano superiore dove è stata composta la salma.
La lampadina posta sopra la testa della morta si accende e si spegne a intervalli irregolari. Giro più volte l’interruttore ma questo non serve.
Il cugino Jerome scende in cucina perché quassù il freddo è intensissimo ed io lo seguo. Il suo volto è nervoso e molto pallido.
Nuovi rumori, questa volta come di porte che vengono aperte o armadi che vengono strascicati mi costringono a risalire.
Il velo con cui è ricoperta la salma è pieno di macchie marrone. Odore acido ristagna nell’aria. Il viso della morta ha scoperto i denti.
In cucina bevo dalla fiaschetta che Jerome ha portato con sé. Nessuno di noi intende servirsi dei bicchieri o di altre stoviglie.
Due ore più tardi il mio compagno si è appisolato. Io ascolto sempre più preoccupato i sibili, i gemiti, accompagnati dal calpestìo dei topi.
Una bottiglia si rompe improvvisamente da sola rovesciando il latte sul pavimento. Proviamo a pulire con uno straccio trovato nel secchiaio. Anche lo specchio in cucina che prima era sano ora appare segnato da una spaccatura.
Gorgoglìo di acqua che bolle al primo piano. Il freddo va aumentando e compaiono delle strisce di fumo brune, visibili controluce.
Il gorgoglìo si fa più intenso e il pavimento di mattoni si va coprendo di viscidume specie negli angoli. Io e Jerome non sappiamo che fare.
Uno schianto secco proveniente dalla credenza di legno davanti a noi. Fetore di uova marce.
Un secondo rombo spaventoso, di sopra questa volta, ci fa sussultare. É come se la cassa si fosse rovesciata. Ci guardiamo allibiti.
Nel silenzio adesso si odono passi duri e meccanici sopra la nostra testa. I passi vanno verso la scala, e incominciano a scendere.
Una schiuma rossa viene giù ribollendo dai gradini.
Di corsa alla porta per uscire fuori con il buio e l’inferno nella stanza dietro di noi. Alle due di notte abbandoniamo la casa.
Durante il funerale in chiesa dalla cassa cola un liquido scuro che scende sul catafalco.
Circa un mese dopo in un giorno di sole sul vialetto del cimitero sono infastidito da un ronzio di mosche e altri insetti.
Un liquame puzzolente cola dal loculo dove è sepolta la zia. La cassa deve essere scoppiata lì dentro, e sciami di mosconi volano nell’aria e stanno attaccati al muro.

Sergio Bissoli