Orfeo ed Euridice

Unico tra i mortali Orfeo figlio di Apollo, ebbe il dono dagli dei di riportare in questo mondo Euridice. Il suo canto si era spento da quando la bella Euridice era scesa nel regno degl'Inferi. Orfeo imboccò la cupa cava diretto nelle viscere della Terra. Più scendeva e più la tenebra s'infittiva. Amore lo guidava più tenace delle avversità e gl'illuminava la discesa. Percepì flebili fruscii nel vasto labirinto. Metteva in avanti le mani e proseguiva con circospezione. Udì una voce lamentosa o forse era il flusso aereo circolante nell'oscura forra. Gridò d'impeto: "Euridice."
Udì modularsi delle voci sempre più numerose come una folla che s'addensa. Voci vaghe, lamentose, anelanti o questuanti. Tese l'orecchio. Non era il vento, ma la folla delle anime nel cupo mondo. Gridò con forza: "Euridice."
Le voci emisero un clamore, poi parvero smorzarsi e chiudersi in silenzio. Qualcuna lo chiamò:
"Orfeo!"
"Euridice!"
Orfeo allargò ed agitò le mani ripetendo il nome dell'amata finché non la sfiorò. Era lei; era il suo corpo anche se avvolto nella fitta tenebra. Si abbracciarono. Sentì la sua corporeità. La riempì di baci, le toccò le guance, la fronte, le palpebre socchiuse; coi polpastrelli le sfiorò le sopracciglia ed il bordo delle labbra.
"Euridice. Grazie agli dei sei di nuovo mia."
"Orfeo!"
Le due voci si rincorsero echeggiando nei labirinti della Terra. L'eterna notte svanita davanti alla felicità.
"Euridice, vieni. Ti porto via da qui. Ho il permesso degli dei."
Orfeo la teneva per mano, ma sentì Euridice che esitava.
"Vieni via da qui. Non temere, ormai ci sono io."

"Orfeo, non posso. Ascolta. Io appartengo al mondo della Tenebra. Se mi avvicino al luminoso mondo, percorrendo all'inverso il cunicolo, sarò diafana fino a scomparire. Come nel mare i pesci, esistiamo immersi nel profondo buio. La Tenebra ci riempie e ci condensa. A furia di stare qui, amiamo altre cose estranee a voi viventi. Non mi portare via. Nella luce non esisto."
"Non temere. Ritornerai nel mondo. Gli dei l'hanno promesso. Tu non scomparirai."
"Gli dei sanno che non è possibile. Su di essi domina l'oscuro volere della Necessità. Essi vogliono che tu capisca. Che riconosca questo limite. Rassegnati. Vuoi che venga? Allora ti seguirò, ma sappi o mio amato, che al limite della caverna, al più flebile raggio solare, o lunare o delle eccelse stelle, scomparirò."
"Per essere certo che non mi lascerai, ti terrò per mano."
Arrivarono alla soglia del mondo esterno che il sole declinava e imporporava il cielo. Euridice era scomparsa senza che Orfeo se ne fosse accorto. Tremula disperata voce dalla cupa cava gli gridò:
"Orfeo, capisci. Sono puro sogno. Solo il tuo canto mi raggiunge."
Orfeo pianse. Prese la lira e cantò la Morte, il vasto Khaos ed il Nulla eterno. Struggente canto dell'amore perso.

Giuseppe Costantino Budetta