Un Natale da cani

In silenzio, protetto dall’ombra fissava tutta quella gente che usciva dalla chiesa. Ogni tanto lanciava un’occhiata verso il cielo. C’erano pochissime stelle. Si stava annuvolando. Le campane della grande Casa del Signore rintoccarono per dodici volte... il Natale era iniziato...
Voltò la testa, e avrebbe voluto turarsi le orecchie: l’udito finissimo amplificava il suono dei rintocchi provocandogli dolori lancinanti.
S’incamminò veloce, con la testa piena di pensieri confusi: lei l’aveva abbandonato, l’aveva messo alla porta senza nessuna esitazione, non lo voleva più, semplicemente, come a volte purtroppo si fa con un cane. Questo era l’unico concetto che riusciva a formulare.
Svoltò in un vicolo. A terra un barbone era rannicchiato in posizione fetale, nel vano tentativo di non disperdere calore; un piede fuoriusciva dalla coperta lacera, la scarpa talmente consumata da lasciare intravvedere due dita.
Si avvicinò silenziosamente, non voleva svegliarlo: gli faceva pena. Gli si avvicinò. Aprì la bocca come per parlare, ma da essa iniziò a fuoriuscire un filo dapprima sottile, poi piano piano si allargò, come a formare un triangolo di tela leggera, una sorta di spessa ragnatela.
Il tessuto impalpabile ricoprì prima il piede dell’uomo, poi risalì fino ad arrivare al collo. Tra le maglie sottilissime della tela mille piccole mani presero forma e iniziarono a muoversi, come seguendo un ritmo che solo loro potevano percepire, dapprima lentamente, poi accelerando fino a muoversi in maniera frenetica.
Le dita s’incrociavano, si scioglievano per poi di nuovo incrociarsi. Una patina ora fittissima e opalescente avvolse completamente il barbone, ora imbozzolato, che nel sonno dischiuse la bocca in un sorriso sdentato: finalmente trovava calore, ma non sapeva ancora a quale prezzo.

All’improvviso si sentì osservato. Si girò: un uomo brandiva un ombrello come fosse un’arma; seminascosta dietro di lui una donna con la bocca spalancata in un urlo silenzioso.
L’uomo si slanciò contro di lui, ma lui fu più svelto.
Lo anticipò catapultandolo a terra, con le unghie gli graffiò profondamente il viso, poi continuò ad attaccare con le uniche armi di cui era in possesso: i denti e le unghie.
Affondò i denti nella gola e strappò. Un fiotto di sangue rosso-nero cadde sul selciato. La donna ritrovò la voce e l’urlo proruppe con prepotenza, sovrastando la musica natalizia che si diffondeva nell’aria, mentre l’uomo si agitava sempre più debolmente.
Non aveva avuto intenzione di ucciderlo, ma l’impeto era stato troppo forte, la giugulare era stata recisa e il sangue si riversava intorno a lui.
L’uomo emise dei suoni liquidi, intanto che la morte lo accoglieva.
Scappò via, sapeva che presto sarebbe arrivato qualcuno.
Corse tanto con il cuore che gli martellava nel petto. Non avrebbe voluto uccidere quell’uomo, ma in un attimo aveva rivissuto tutto il suo dolore, che si era trasformato in rabbia feroce.
Nella piccola piazza semideserta che raggiunse, un bar ancora aperto ospitava pochi avventori che non avevano una famiglia o amici con i quali trascorrere il Natale.
I tavolini sotto al gazebo erano ricoperti da tovaglie rosse con decori di slitte trainate da Babbo Natale, e al centro una candela semiconsumata contribuiva a creare l’atmosfera natalizia.
Qualcuno di loro lo guardò solo per un attimo, per poi rivolgere di nuovo lo sguardo al televisore acceso all’interno del locale. Una donna di mezz’età, dallo sguardo spento, gli offrì silenziosamente un dolcino e un sorriso.
Ricambiò lo sguardo, provò a ricambiare anche il sorriso, ma sulla faccia gli si disegnò solo un ghigno. Nello sguardo della donna per un attimo scoccò una scintilla d’interesse. Proseguì per la sua strada.
Sentiva sulla pelle l’orrore di quello che aveva fatto, sentiva l’orrore intorno a sé, a volte, quando passava molto vicino a qualcuno lo sentiva talmente forte da essere quasi palpabile. Forse, se avesse potuto spiegare a quell’uomo che stava compiendo un atto d’amore con il barbone...
Forse...
Risalì un sentiero che conduceva verso una casa discosta dalle altre; la ghiaia bianchissima riluceva sotto i raggi della luna. Senza fretta, ma con decisione, lo percorse fino ad avvicinarsi alla porta-finestra. Da lì poteva vedere la cucina nella quale una donna liberava il tavolo da quelli che sembravano i resti di una cena senza pretese, certo non un cenone natalizio: nessun addobbo, niente presepi o alberi di natale. Il Natale lì non era arrivato.
Un uomo russava rumorosamente sul divano, le gambe allungate con i piedi su un tavolino davanti al televisore a volume alto. I due suoni si confondevano.
La donna girò il viso verso la porta, e negli occhi vide solo disperazione, come la sua.
Gli sguardi s’incrociarono, lei aprì la porta al suo destino, tese una mano verso di lui e l’accarezzò sulla testa bionda.
Il tocco era delicato e, travolto dalla piena delle sue emozioni, desiderò aiutarla.
La guardò fisso negli occhi, catturandone completamente l’attenzione. La donna si accucciò a terra, lui si accucciò accanto a lei, senza distogliere lo sguardo.
Dapprima lei si sentì investita da una luce calda: dei piccolissimi soli ruotarono come impazziti nella luce, le traiettorie si incrociavano e, nei loro punti d’incontro, scintille colorate esplosero in mille colori, verde, lilla, rosso, giallo...
Il cuore della donna batté in perfetta sincronia con lo spettacolo multicromatico.
L’ultima scintilla, arancio, rimase lì sospesa per un tempo che sembrò infinito.
L’eco dell’ultimo battito del suo cuore si spense assieme alla scintilla.
Leccò il viso della donna. Aveva fatto quello che poteva, in fondo era solo un povero cane abbandonato, un cane speciale, ma sempre e soltanto un cane.
La notte era lunga, e a malincuore si incamminò di nuovo nel freddo a cercare altri derelitti da salvare, magari avrebbe trovato anche la sua padrona... avrebbe salvato anche lei.

Pia Barletta