Luna piena

Lucy correva nel bosco. Correva a perdifiato, ansimando pesantemente e voltandosi spesso a guardarsi alle spalle; quasi ogni volta che lo faceva rischiava di perdere l’equilibrio e di cadere a terra, tanto era impetuosa la sua corsa.
Lucy era nuda. L’aria gelida della notte le entrava fischiando nei polmoni e le ghiacciava il sudore su tutto il corpo. Ogni tanto, Lucy guardava il cielo attraverso gli alberi, in cerca di una stella, per potersi orientare; ma Dio quella notte era inclemente, e le nuvole nere sembravano deridere lei e della sua corsa sfrenata.
Iniziò a piangere sommessamente, senza smettere di correre, ed il gelo si impossessò immediatamente di quelle piccole gocce argentate, stringendole nel suo abbraccio ghiacciato.
Lucy cadde.

 

Non la sentiva più da qualche minuto ormai, ma era certo che fosse sempre davanti a lui.
Viveva nei boschi da molti anni e sarebbe riuscito a seguire le tracce di una preda anche ad occhi chiusi; anche se, che Diavolo, un po’ di luce della luna non avrebbe certo guastato!
Strinse le mani callose intorno all’impugnatura dell’ascia da boscaiolo e andò avanti. Non correva, lui. Camminava soltanto, perché sapeva bene che correndo avrebbe solo sprecato fiato ed energia, mentre la povera, piccola bestiolina indifesa che stava inseguendo, impazzita di paura, avrebbe corso fino a farsi esplodere i polmoni. Inutilmente.
Non c’era scampo per le sue vittime, mai. Le adescava nei bar o nelle stazioni degli autobus o semplicemente, se le incontrava in luoghi poco frequentati, dava loro una botta in testa e se le portava via, nella sua baracca. Le spogliava, ma non le violentava. Non prima di averle uccise, almeno... A volte prima di ucciderle faceva credere loro di essere libere, le lasciava uscire dalla baracca e indicava loro una direzione, il più delle volte casuale, per tornare in città. Poi le inseguiva e le uccideva. Conosceva i boschi a menadito, mentre loro erano quasi sempre ragazzine di città inesperte della vita vera, quella dura delle foreste. Prima o poi iniziavano a correre in tondo. Tutte quante. Butch non riusciva a spiegarsi il perché ma accadeva così.
Si stava distraendo, aveva deviato di qualche metro dalla traiettoria della ragazza.
Improvvisamente sentì molto vicino un ansimare misto a singhiozzi e capì che questa non avrebbe corso in tondo. Oh, no... questa l’avrebbe ammazzata prima.
Butch si rimise in caccia.

Quando lo vide sbucare dagli alberi, alla sua sinistra, Lucy cercò di urlare, ma dalla sua gola in fiamme uscì solo un flebile squittio. Tentò di alzarsi, ma i piedi nudi scivolarono sull’erba bagnata e lei non potè fare altro che guardarlo avvicinarsi: un boscaiolo enorme con un’altrettanto enorme ascia in mano. Sorrideva, lui.
Lucy fece ancora un ultimo tentativo di fuga, ma lui ormai le era addosso: la afferrò per una caviglia e la tirò indietro, alzando contemporaneamente l’ascia per colpirla.
Istintivamente, la ragazza alzò un braccio per proteggersi, e vide la luna fare finalmente capolino tra le nuvole. Era luna piena.

 

Improvvisamente, proprio quando stava per colpirla, vide distintamente peli neri e ispidi spuntare dalla sua pelle, fino ad un secondo prima pallida e sudata.
“Ma che caz...”
Non ebbe il tempo di dire altro, perché quattro artigli lunghi e robusti gli devastarono il volto, asportandogli il bulbo oculare sinistro e rendendo la sua bocca uno squarcio sanguinante che andava da un orecchio all’altro.
Balzò all’indietro e iniziò ad urlare.
L’ultima cosa che vide coscientemente fu la ragazza che si rialzava da terra. Solo che non era più una ragazza, bensì un essere mostruoso, un lupo nero antropomorfo e dagli occhi di brace. E quegli occhi fissavano lui.
Una lingua rosso sangue uscì dalla bocca dell’animale per leccare le labbra irsute.

 

Lucy correva nel bosco. Solo che non era più Lucy, bensì una creatura delle tenebre, un predatore silenzioso e vorace. E aveva fame.
Incontrò sul suo cammino un’ascia da boscaiolo abbandonata e sfoderò le zanne nella parodia di un sorriso.
La sua preda si stava stancando... Chissà che l’ora di cena non fosse vicina?

Sonia Palumbo