L'ultimo duello

Sedevano nel vano del furgoncino parcheggiato nella piazzetta, e si guardavano con occhi dipinti. I loro fili erano sparpagliati sul pavimento di metallo, intrecciati con quelli di decine d’altri compagni. Capitan Lamaveloce stava tentando di sonnecchiare, ma lo sguardo di Messer Belcuore era strano, e gli metteva soggezione.
- Cosa vuoi? - chiese alla fine esasperato.
- Parlarti - sussurrò l’altro. Nella semioscurità del retro del furgoncino decine d’altre marionette tesero orecchie che nella maggior parte dei casi non possedevano.
- È così urgente? - domandò Capitan Lamaveloce seccato. - Stasera abbiamo lo spettacolo, e vorrei riuscire a riposare un po’.
- Si tratta proprio dello spettacolo - disse Belcuore. - Ho da chiederti un favore.
- Un favore di che tipo?
- Devi uccidermi. Nella scena del combattimento.
Capitan Lamaveloce avrebbe voluto alzare le braccia al cielo in un gesto d’impazienza tipico degli esseri umani. Ma non poteva, perciò si limitò a sbottare:
- Sei tu che da cinque anni a questa parte mi uccidi ogni sera in quella scena, Belcuore, ricordi? Ti sfido a duello per la mano di Guendaline, poi sfoderiamo le spade e ci scontriamo.
- E alla fine ti do un colpetto sulla giubba e tu muori - concluse l’altro.
- Esatto - confermò Lamaveloce al culmine dell’irritazione - Succede sempre così, perché mi stai parlando di queste sciocchezze?
- Voglio che stasera sia tu a uccidere me, ma sul serio - scandì tranquillo Belcuore. - Non sarà la solita pantomima, devi passarmi da parte a parte con la tua lama.
Ci fu un lungo istante in cui non si sentì altro che il debole respiro dei piccoli pupazzi di legno. Da un angolo buio s’udiva distintamente singhiozzare Guendaline, da anni segretamente innamorata di Messer Belcuore.
Capitan Lamaveloce emise un sibilo incredulo e al contempo sarcastico.
- Supponiamo che io voglia farlo - disse. - Credi che riuscirei a bucarti con una spada di alluminio? E il puparo? Come la mettiamo con il puparo? E’ lui che governa i miei movimenti, non posso muovere nemmeno un passo senza di lui.
- Se lo vuoi davvero ci riuscirai - subito dopo aver detto ciò Belcuore si fece zitto, e pareva che stesse vibrando tutto mentre si sforzava di raccogliere le energie e convogliarle in un punto preciso del proprio legnoso corpo.
- Guarda! - esclamò a un tratto sollevando un braccio. - Puoi farlo anche tu. Possono farlo tutti.
Un brusio di stupore salì dalle bocche immobili delle marionette accatastate nel furgone, qualcuno urlò; nessuno di quei piccoli simulacri umani aveva mai visto fare una cosa del genere, e la dimostrazione di Messer Belcuore scatenò un acceso dibattito tra di loro. Solo Guendaline continuava a piangere, al riparo nel suo cono di tenebre.

- Perché vorresti fare una cosa del genere? - chiese Capitan Lamaveloce cercando di dominare l’eccitazione per quello che aveva appena veduto. - Se io ti spacco il petto...
- ... Io morirò davvero - lo anticipò Belcuore. - Non potrò più fare gli spettacoli, e mi getteranno via.
- Ma...
- E’ ciò che voglio, Lamaveloce - gli assicurò. - Tu dimmi soltanto se stasera lo farai.
Capitan Lamaveloce rifletté a lungo, sbuffando combattuto. Non gli piaceva nemmeno un po’ quella storia di uccidere Belcuore, era una cosa che non andava fatta. Però, muoversi autonomamente... quella era una faccenda del tutto diversa, e avrebbe potuto provarci. Chissà che applausi a fine spettacolo, tutta l’attenzione del pubblico finalmente incentrata su di lui che da sempre era stato la figura di second’ordine, quella piazzata apposta per far risaltare l’eroico protagonista che alla fine salva la bella prigioniera. Avrebbe piroettato e tirato di spada come mai il puparo avrebbe saputo fargli fare, avrebbe finalmente tenuto in mano i fili di sé stesso. E tuttavia, quell’idea di Belcuore di farsi ammazzare...
- E a Guendaline non pensi? - disse dopo un po’. - Sai cosa prova nei tuoi confronti, non fingere di esserne all’oscuro.
- Guendaline ha confuso la realtà con la rappresentazione - mormorò stancamente Belcuore. - È una cosa che accade a molte marionette, ed io non so cosa farci. E’ la mia donna ogni sera, sul palco, ma non provo nulla per lei fuorché amicizia sincera. Non avrò troppi rimpianti nel lasciarla.
Nell’angolo nascosto Guendaline gemette di dolore. Qualche pupazzo si sforzò, senza riuscirvi, di passarle un braccio attorno a una spalla per consolarla.

 

***

 

Il sipario fu spalancato e gli spettatori (una trentina di anziani con i loro nipotini) si prepararono ad assistere all’ultimo atto.
- Sei proprio sicuro? - sussurrò Capitan Lamaveloce mentre il burattinaio li sollevava per farli comparire sulla scena.
- Sì - rispose Messer Belcuore. - Fallo e basta.
- E sia. È stato bello lavorare con te - un attimo dopo furono calati sul piccolo palcoscenico.
Legata ad un bastone di compensato Guendaline, l’oggetto della disputa tra i due spadaccini, piangeva attraverso la voce distorta del puparo. Piangeva anche dentro, disperata per ciò che stava per accadere, ma nessuno avrebbe potuto accorgersene perchè la sua bocca disegnata con la tempera rossa era piegata verso l’alto nel sorriso immutabile che costituiva la sua unica espressione. Il puparo fece declamare ai duellanti le rispettive battute e poi si diede da fare con le dita per iniziare la tenzone.
Capitan Lamaveloce s’era esercitato tutto il giorno, e sapeva di poterci riuscire. Voleva riuscirci. Mentre sopra di lui il burattinaio muoveva i fili ad arte per fargli menare fendenti a vuoto che lo scoprivano e gli facevano perdere l’equilibrio, esponendolo allo scherno del pubblico ed agli assalti di Belcuore, egli si sforzava di attingere alle proprie forze nascoste e trasformarle in energia cinetica. Sentì che stava per accadere, e ringhiò forte per il dolore mentre sollevava la spada e piegava in avanti la schiena. Un ultimo sforzo, un urlo che si perse nella musica di sottofondo proveniente dagli altoparlanti sistemati in alto, e il giogo del nylon fu vinto. Il puparo soffocò un singulto di sorpresa quando sentì la marionetta andarsene per proprio conto, e prima che potesse riaversi quella s’era già lanciata verso il rivale con la lama puntata. Tentò di far compiere a Messer Belcuore uno scatto laterale, ma neppure lui obbediva più ai suoi comandi; se ne stava immobile al centro del palco, le braccia spalancate come se attendesse il colpo.
Lo schianto fu forte, e il pubblico restò a bocca aperta; centinaia di schegge volarono via dalla giubba di Messer Belcuore mentre la spada di Lamaveloce gli penetrava nel petto e veniva fuori dalla schiena crepandogli l’intero tronco. Il puparo riuscì a tenerlo in piedi, ma egli era comunque morto.

 

***

 

Si ridestò in quello che pareva un giardino di periferia, con il volto gigantesco e simpatico di un vecchio a pochi centimetri dal suo.
- Ecco qua - disse l’uomo. - Quel mastice ha fatto miracoli, Robertina, e lo spadaccino di legno è come nuovo - consegnò Belcuore a una bambina di non più di otto anni, che iniziò a saltellare con lui in braccio.
- Che bello, il vero Messer Belcuore! - esclamava, e sembrava pazza di gioia. Anche il pupazzo era felice, perché le cose erano andate proprio come aveva pianificato. Morire era stato terribile, ma la sua speranza che qualcuno prima o poi l’avrebbe tirato fuori dal bidone dei rifiuti per aggiustarlo non si era rivelata vana. C’era una nuova vita per lui, adesso, nella casa con il giardino così diversa dallo squallore del retro del furgone. Avrebbe giocato ogni giorno con Robertina, libero finalmente dall’odiosa parte che per anni era stato forzato a recitare, e avrebbe visto com’era fatta una vera casa. Di notte poi, assicuratosi che gli uomini fossero addormentati, sarebbe sceso a farsi un giro là sull’erba, saltando sotto la luna insieme ai gatti randagi per poi tornare a sistemarsi immobile al proprio posto prima del sorgere dell’alba. Sarebbe stato bellissimo, il sogno che aveva sempre cullato. Solo, gli dispiaceva un po’ per Guendaline e per gli altri amici che non avrebbe mai più rivisto, ma quei brutti pensieri si dissolsero come rugiada al sole quando al termine di una corta rampa di scale Robertina disse:
- Vieni, Messer Belcuore, adesso ti faccio vedere la mia cameretta.

Alfredo Mogavero