Si fermò
    davanti allo specchio reso opaco dal vapore della doccia.
    Nuda, le viscere invase dal terrore. Non il solito lucido e grigio terrore provocato dalla
    vista della cellulite che consumava la sua bellezza e dal tempo che lasciava le tracce del
    suo passaggio. Un terrore nuovo, bianco, che le aveva mandato una scarica di adrenalina
    lungo la spina dorsale. Sulla superficie appannata dello specchio si leggevano cinque
    lettere: OTUIA.
    Cosa può fare una mente razionale di fronte a fatti come questo? Solo cercare una
    spiegazione plausibile, e se non cè, inventarsela. Così, Isabel, che aveva smesso
    di sognare a dodici anni, pensò che forse il vapore della prima doccia dopo
    lestate, a finestra chiusa, aveva fatto comparire qualcosa scritto tempo fa. Da lei
    stessa, o forse da Raul, il suo ex ragazzo. Sì, doveva per forza essere così. Non
    cera altra spiegazione. Era sola in casa, nessuno avrebbe potuto entrare in bagno
    senza che lei lo sentisse. Si erano lasciati in agosto, e lei ricordava di non aver pulito
    lo specchio del bagno almeno da giugno. Probabilmente aveva voluto farle uno scherzo
    quando abitavano ancora insieme. Sì, doveva essere andata così. Non cera altra
    spiegazione. Aveva scartato subito lipotesi che qualcuno potesse essere entrato in
    casa di nascosto. Comunque indossò laccappatoio e decise di dare unocchiata
    allappartamento. La porta blindata era chiusa, lallarme inserito, le
    tapparelle abbassate in tutte le stanze. E poi era al quarto piano, impossibile entrare da
    una finestra. Nessun altro aveva una chiave della porta dingresso, ricordava
    perfettamente che Raul glielaveva restituita quando se nera andato. Possibile
    che ne avesse fatta una copia e che stesse cercando di vendicarsi di lei? No, troppo
    raffinato per lui. Non sarebbe stato capace di arrivare a tanto. Al massimo, da uno come
    lui poteva aspettarsi che le rigasse la macchina. Archiviato lepisodio iniziò a
    respirare normalmente, soddisfatta della conclusione a cui era giunta, accorgendosi
    soltanto ora di avere il fiatone. Tornò in camera da letto, si tolse laccappatoio e
    accese una sigaretta. In piedi, accanto al letto, cercò il cono dellultimo sole
    estivo che entrava dalla finestra e chiuse gli occhi.
    In ritardo sulla consueta tabella di marcia, dovette accelerare i tempi. Trucco, una
    spruzzata di profumo, scelta dei vestiti e delle scarpe. Quando si immise nel traffico
    alla guida della sua Smart grigio e arancio erano già le 7.45. Inserì nel lettore un cd
    di recenti successi. Una canzone le fece venire voglia di gelato. Scese dalla macchina nel
    parcheggio riservato ai dipendenti di Canale 8 con nelle orecchie una melodia che, ne era
    sicura, le sarebbe rimbalzata in testa per alcune ore. Entrò nellatrio accennando
    un saluto al custode. Passò davanti alla macchinetta per timbrare il cartellino con la
    solita, studiata indifferenza, anche se era diventata dirigente da due anni. Prese
    lascensore per il quinto piano. Le porte si aprirono sul corridoio formicolante di
    attività. Incrociò il suo vice. Lo salutò sorridendo. Uno dei suoi scalpi. Le veniva da
    ridere a immaginarselo a letto con lei, adesso. Era come se fosse accaduto in
    unaltra dimensione, in un mondo parallelo.
    Erano passate quasi tre ore quando andò in bagno. Si sorprese a guardare il grande
    specchio sopra ai lavabi con una punta di angoscia. Sorrise. Niente vapore. Niente
    scritte. Si ritoccò il trucco. Alle 11.30 aveva un appuntamento con il capo. Era già in
    tenuta da guerra. Aveva studiato il suo abbigliamento pensando a quando si sarebbe seduta
    di fronte a lui. Gonna con spacco a scoprire appena linizio dellelastico
    lavorato delle autoreggenti nere. Scollatura che lasciava intravedere il solco del seno,
    attaccando sullaltro fronte. Bisognava circondare il nemico.
    Alle 11.30 in punto bussò alla porta del suo dirigente.
    «Ah, dottoressa, si accomodi».
    Con la sua camminata da conquista la donna prese posto di fronte alla scrivania.
    «Ho esaminato con attenzione il suo nuovo progetto...» disse prendendo in mano una
    cartella e iniziando a sfogliare le pagine.
    Era una pausa studiata. Lei, da esperta predatrice, lo sapeva benissimo.
    «... E... be, devo dire che è un lavoro notevole. Mi complimento con lei,
    signora... o signorina...?»
    «Non sono sposata» disse sorridendo la donna.
    «Ah, sì, be potremmo anche darci del tu, se non le dispiace, Isabel...»
    «Più che volentieri, Maurice...»
    «Così mi piace! Una donna che sa quello che vuole...! Be, per tornare al tuo
    progetto, come ti dicevo, mi ha colpito, e pensavo di proporre la tua idea per una nuova
    trasmissione. Pensavo a qualcosa di grosso, a investimenti di un certo rilievo. Purtroppo
    oggi ho una giornata... Ti dispiacerebbe se ne parlassimo a cena, stasera?»
    «No, anzi, con piacere».
    Quando uscì dallufficio stava già pensando a cosa indossare per la serata.
Guardando le ragazze della reception venne preso dallangoscia di
    non poter più baciare altre donne oltre a sua moglie. La paura dellineluttabile.
    Non sentire mai più quel brivido scorrergli lungo la schiena e infilarsi nel cervello.
    Non si ricordava nemmeno se lo aveva mai sentito, quel brivido. Lemozione di labbra
    sconosciute che accolgono il tuo invito. Il calore di un corpo diverso, un profumo nuovo.
    Tutto questo non ci sarà mai più. A quarantanni era giunto improvvisamente alla
    consapevolezza che cerano cose che non gli sarebbero più state concesse, che non
    avrebbe più provato. Quando arrivò il suo turno al banco cera Doris, una ragazza
    che avrebbe corteggiato se fosse stato single. E forse lo avrebbe fatto lo stesso. Magari
    la prossima volta. Come fare, però? Così, di punto in bianco, chiederle di uscire a
    cena? Se gli avesse detto di no sarebbe stato un disastro per il suo ego, già messo
    duramente alla prova da ventanni di fallimenti.
    «Tocca a lei» gli sorrise.
    Aron ricambiò il sorriso. «Grazie». Gli aveva sorriso per gentilezza o perché le
    piaceva? Si avviò con linsegnante nella stanza dove avrebbe fatto il suo esame di
    inglese, il penultimo del corso. Dopo aveva deciso di mollare. E Doris? Non lavrebbe
    più rivista. Senza pensare alle altre stupende ragazze che lavoravano alla scuola di
    inglese. Ma col tempo Aron aveva imparato a non puntare troppo in alto. Barbara, ad
    esempio, era la sua preferita, con una quinta naturale di seno aveva il corpo che lui
    sognava da sempre, e in più un bel visino dolce e angelico. Ma sicuramente le sue pretese
    erano anche molto più elevate di lui. Meglio non farsi illusioni e puntare a obiettivi
    più realistici, alla sua portata.
    Dopo unora di conversazione con Andy, che doveva saggiare la sua preparazione e il
    superamento del livello, cercò di scambiare due parole con Doris. Sul banco della
    reception cera un avviso per iscriversi a una gita a Londra di cinque giorni. Costo
    650 euro. Non poteva permettersela, ma era una scusa come unaltra per attaccare
    bottone.
    «Stavo guardando questa proposta... interessante, però il 28 non ce la faccio proprio,
    impegni di lavoro...» mentì spudoratamente.
    «Oh..., non puoi prendere un paio di giorni di ferie?» gli chiese Doris, interessata.
    «Eh, purtroppo no, a fine mese è un po dura... non posso mettere in difficoltà i
    colleghi...».
    «Ehi, la partenza però è alle 16.30 del 28, puoi vedere se ce la fai a finire prima e
    prendere solo il 29 di ferie...?»
    «Potrebbe essere unidea, ma devo valutare...» rispose dopo aver finto di
    riflettere sui propri impegni di lavoro «... se riesco ti faccio sapere. Vai anche tu?»
    «No» sorrise lei «lasciamo i posti agli studenti. Vi accompagna Andy».
    Sai che goduria, andare a Londra con Andy, pensò Aron. Potrei chiederle di uscire una
    sera... Forza, non ci vuole molto...
    «Va bene... eventualmente, entro quando bisogna dare ladesione?» chiese, per
    prendere tempo. Dai, cosa ci vuole...?...
    «Entro l11».
    Dietro di lui una ragazza stava scalpitando. Dovette mollare la preda.
    «Va bene, grazie. Ciao».
    «Ciao.»
    Buca anche stavolta. Però aveva notato un leggero rossore sulle guance di Doris. Era
    sempre così o forse era emozionata perché stava parlando con lui? No, ma chi voleva
    prendere in giro? Quale ragazza sana di mente si emozionerebbe per parlare con un tipo
    come lui? No, probabilmente era solo raffreddata. Ma tanto Doris non era la ragazza adatta
    a lui, e poi non era neanche tanto carina... e forse era pure già impegnata (istinto di
    sopravvivenza).
    Uscito dalla scuola di inglese si ricordò che doveva fare la spesa, prima di tornare a
    casa. Sua moglie gli aveva lasciato anche quellincombenza. Andò nel vicino centro
    commerciale. Parcheggiò a un centinaio di metri dallingresso, preferendo non
    avventurarsi nella giungla di auto del sabato pomeriggio, allassalto del parcheggio
    più vicino allentrata dei negozi. Meglio farsi qualche metro a piedi. Le porte
    automatiche si aprirono davanti a lui. Lo sgradevole odore del supermercato lo accolse in
    un innaturale ambiente climatizzato. In sottofondo musica popolare, che rende meno
    difficile consegnare la carta di credito ad una ragazza sul cui petto cè un
    cartellino con scritto mi chiamo Giulia, vado in discoteca tutti i sabati sera, la
    domenica se non lavoro passo il pomeriggio con il mio ragazzo e la sua compagnia, gli
    spazi pubblicitari dividono i miei sogni dai miei ideali, ti sorrido solo se la tua carta
    è dorata, mi piaccio e sono felice. File di carrelli colmi di oggetti, cibarie,
    bevande, nevrosi, meschinità, spinti da persone con il vuoto negli occhi. Famiglie
    immerse nel loro primo rituale del fine settimana, in un sabato pomeriggio a cui seguirà
    una domenica incolonnati sullasfalto, nella perenne ininterrotta tragedia replicata
    ogni giorno con le stesse identiche battute nello stesso teatro.
    La vide di fronte allo scaffale delle bibite. Un lungo soprabito nero, un top che metteva
    in risalto una quarta abbondante di seno, la carnagione chiara e le lentiggini tipiche
    delle rosse naturali, gli occhi di un blu profondo. Sembrava Julianne Moore con un fisico
    ancora più perfetto. Anche lei lo guardò. Forse avevano colto entrambi la rispettiva
    estraneità ad un mondo che non apparteneva loro. Se fosse stato un personaggio dei suoi
    film preferiti le avrebbe detto qualcosa, avrebbe fatto una battuta. Lei avrebbe sorriso,
    gli avrebbe risposto e sarebbero usciti insieme. Ma nella realtà predominava il timore di
    fare la figura del cretino, abbordando una ragazza che, magari, stava guardando i
    sottaceti dietro la sua testa. Pensò a quanto una piccola decisione possa cambiare la
    vita. Bastava rivolgere la parola alla sconosciuta o invitare Doris a cena, oppure provare
    limpossibile: la splendida e irraggiungibile Barbara. Invece, in un istante aveva
    buttato al vento un amore. Forse lamore della sua vita. O forse ce laveva
    già, lamore della sua vita, in una donna non perfetta, ma dolce, che lo sopportava
    in tutte le sue manie e le sue stravaganze. Non lo avrebbe mai saputo con certezza, e
    questa inevitabile convivenza con il dubbio, qualunque decisione avesse preso, lo
    disturbava.
    Prima di tornare a casa decise di passare a bere qualcosa in un bar. Sua moglie era fuori
    per il fine settimana, era andata a trovare i suoi genitori. Lui aveva addotto una scusa
    credibile e si era defilato. Stasera lo aspettavano la lettura, per la terza volta, de
    Le correzioni di Franzen e lUomo Ragno Gigante, in serie cronologica. Da
    anni leggeva sempre gli stessi cinque libri, senza mai cambiare, in un rito propiziatorio
    per ingannare il tempo. In senso letterale, non metaforico. E lintera serie
    cronologica dellUomo Ragno, iniziando dallUomo Ragno Gigante, che contribuiva
    a riportarlo alla sua adolescenza. Gli altri quattro libri che rileggeva ciclicamente
    erano Lelogio dellimmaturità, Le opinioni di un
    clown, Navi in bottiglia ed Elogio della masturbazione.
    Iniziò a pensare che ci fosse qualcosa che non andava in lui, di essere stato programmato
    male, come un computer a cui avevano dato istruzioni di calcolo errate. Non si sentiva
    predisposto per vivere in questo mondo.
Isabel lo vide entrare dalla porta del pub. Non avrebbe mai pensato che
    un tipo così insignificante potesse interessarla. Eppure si sentì inspiegabilmente
    attratta da lui. Non poteva essere leffetto dei gin tonic. Ne aveva bevuti solo due,
    e poi non erano ancora entrati in circolo. Luomo si sedette al bancone, a un paio di
    metri da lei. Sembrò non notarla nemmeno. Non ci era abituata. Lei, la Grande Seduttrice,
    ignorata da uno sfigato qualsiasi? Accavallò le gambe allargando lo spacco. Niente.
    Neanche unocchiata nella sua direzione. Forse era gay. Guardò lorologio.
    Avrebbe dovuto essere al ristorante fra due ore. Aveva tutto il tempo di giocare. Scese
    dallo sgabello e si sedette su quello vicino alluomo.
    «Mi può accendere?»
    «Mi dispiace, non fumo».
    «Neanchio» disse lei, riuscendo finalmente a guardarlo negli occhi.
    Aron alzò gli occhi verso la voce che lo aveva interpellato. Un volto non perfetto ma con
    piccoli difetti che la rendevano ancora più attraente e dolce. La carnagione abbronzata
    dai raggi Uva, le labbra carnose ma naturali, senza gli eccessi chirurgici che rovinano le
    bellezze da copertina, il naso leggermente allinsù, con la punta arrotondata, gli
    occhi che scintillavano dellazzurro di un cielo che precede il temporale, i capelli
    biondi che rivelavano assidue visite al parrucchiere. Le difese di Aron  quella
    donna era troppo bella per lui, una categoria a cui aveva rinunciato da anni , forti
    e collaudate, scattarono immediatamente. Ma Isabel era una guerriera nata, una vincente.
    Avrebbe fatto di tutto, anche solo per esaudire un suo capriccio o per mettere alla prova
    il suo fascino. Le bastò mezzora per farsi portare nellappartamento
    delluomo. Aron fece lamore con tutta la dolcezza che aveva serbato per la
    donna della sua vita, in un modo che per Isabel era nuovo, strano, sconosciuto. I suoi
    uomini di solito erano atletici, anaffettivi, egoisti, non le era mai capitato di vedere
    tante emozioni scorrere sul volto di un uomo con cui era a letto.
    Aron si era addormentato quando lei si alzò e si rivestì. Non poteva fare aspettare
    Maurice. Ormai non aveva tempo per tornare a casa a cambiarsi. Si ritoccò il trucco in
    bagno e uscì chiudendosi la porta alle spalle, sforzandosi di sorridere. Camminando verso
    la sua Smart ancora parcheggiata di fronte al pub pensò sorridendo che quel tizio era
    stato proprio un pessimo amante, il peggiore che avesse mai avuto, tecnicamente nullo.
    La peggiore scopata della mia vita ? disse asciugandosi le lacrime con il
    dorso della mano.
Aron si svegliò alle tre del mattino. Di soprassalto. Guardò lincavo vuoto di fianco a lui. Isabel se nera andata. Stette per alcuni minuti immobile a guardare il soffitto, bianco come il nulla, poi si riaddormentò.
Isabel si svegliò alle tre del mattino. Di soprassalto. Guardò di
    fianco a lei e si accorse che Maurice si era addormentato. Stette per alcuni minuti
    immobile a guardare il soffitto, bianco come il nulla. Nella stanza aleggiava ancora odore
    di sesso. Isabel sentiva nelle narici lacre odore delle ascelle di Maurice. Sentì
    il bisogno di fare una doccia. Sotto il getto di acqua bollente si sfregò il corpo con la
    spugna insaponata fino a farsi male, poi si passò le mani sul viso, inspirando il profumo
    di doccia schiuma, nellinutile speranza che potesse scacciare dalle narici
    lafrore delluomo. Rimase alcuni minuti in più del solito, aspettando di
    vedere se qualcosa scendeva dal suo corpo nello scarico. Mentre si asciugava, vide sullo
    specchio le cinque lettere OTUIA. Afferrò una spazzola e la gettò con rabbia contro lo
    specchio. Il vetro si ruppe, ma la spazzola, invece di ricadere sulle piastrelle del
    bagno, sembrò penetrare la parete. Dietro lo specchio non cera il muro ma
    unapertura, un varco nero e profondo. Sentì dei passi provenire
    dalloscurità. Qualcuno sembrava avvicinarsi dallaltra parte del buco, venendo
    verso di lei. Una bambina bionda, in camicia da notte bianca, uscì improvvisamente
    dallapertura dietro lo specchio e si scagliò come una furia contro di lei,
    afferrandole il collo con le mani. La donna cadde sulla schiena, le piccole mani che le
    stringevano sempre di più la gola, impedendole di respirare. Cercò disperatamente di
    staccare dal collo le braccia della bambina, ma erano troppo forti. Guardò implorante il
    volto chino su di lei, deformato dalla rabbia di chi è rimasto prigioniero per più di
    ventanni. Un volto che le era familiare, che aveva visto ogni giorno, molti anni fa,
    riflesso in quello stesso specchio che ora giaceva in frantumi accanto a loro. Staccò una
    mano dalle braccia della bambina e cercò sul pavimento uno dei pezzi di vetro in cui si
    era rotto lo specchio. La bambina si accorse del suo movimento e la precedette, lasciando
    con una mano la sua gola e afferrando uno spuntone di vetro. Con un colpo deciso lo
    affondò nel ventre della donna, facendo uscire un fiotto di sangue. Lasciò cadere il
    pezzo di vetro e inserì le dita nella ferita, ad una ad una, poi la mano intera, il
    braccio, fino ad entrare completamente nel corpo della donna.
    Isabel si risvegliò distesa sul pavimento del bagno. Intorno a lei i frammenti dello
    specchio. Si toccò il ventre. Sangue. Ma la ferita sembrava superficiale. La disinfettò
    con un po di alcool e applicò una garza. Guardò il punto in cui prima era fissato
    lo specchio. Toccò la parete bianca, di cemento grezzo, e ne saggiò la solidità. Uscì
    dal bagno, si mise il primo paio di scarpe che vide nellarmadio e afferrò le chiavi
    della macchina. Guidò per una decina di minuti, quindi accostò in una strada deserta.
    Avrebbe atteso la prima rugiada, lalba, il sorgere del sole e Aron. Sapeva che
    sarebbe uscito per andare al lavoro, e adesso lo avrebbe aspettato, per tutto il tempo che
    sarebbe stato necessario.