Ludus Romanorum

Sono tutti lì. E sembrano esser già morti. Chissà come reagirebbe il venerabile imperatore vedendo i cadaveri già pronti per essere divorati. Insomma che gusto ci sarebbe? No, lui vuole vedere il terrore, la morte scorrere viva in quegli occhi. Le bestie hanno fame. Ruggiscono dentro le gabbie al tanfo del sangue sparso per l’arena. I prigionieri vengono legati ai pali. Non vengono crocifissi ma vengono mutilati per attirare le bestie. La folla urla, urla di liberare le bestie. Nell’arena ci sono sette pali con sette prigionieri che sprecano i loro ultimi respiri per pregare quello stupido dio per cui furono catturati. I loro occhi sembrano uscire dalle orbite. Sudano.

Sono coperti ovunque di sangue ma continuano a tagliuzzarli il corpo. Alcuni svengono e sono fatti a pezzi per aizzare ancora di più le belve. Silenzio. Le catene iniziano a cigolare. Un boato dalla folla fa tremare il terreno. Tremano. I prigionieri tremano nel loro vestito di sangue. Ansimano. La paura mozza il fiato. Improvvisamente corrono da ogni lato dell’arena, fiumi di belve affamate. Eccole a pochi piedi dai pali, sentire il loro respiro caldo sul viso. Eccole mentre si avventano contro i prigionieri. Si vedono i cuori pulsanti dagli squarci dei morsi. Il popolo impazzisce alla vista del sangue come un branco di vampiri. L’imperatore assiste lieto al macabro scenario. Il volto dipinto da un sorriso, compiaciuto ma non soddisfatto, compiaciuto, ma non soddisfatto.

Giulia D'Onofrio