- Fratelli, silenzio! - gridò Abrahm nella baracca. - Josep deve dirvi
    qualcosa dimportante! - Gli cedette la parola.
    - Come avrete saputo, ieri cè stata unaltra esecuzione - esordì Josep. -
    Dieci ebrei morti erano il prezzo della fuga di Emanuel. Sono stati messi in riga e
    giustiziati con raffiche di mitra alle due del pomeriggio.
    - Perché ci dici questo? - chiese una voce dal gruppo.
    - Qualcosa è andato storto. - Josep proseguì. - Due soldati nazisti si sono avvicinati
    ai loro corpi, per accertarne la morte, ma le salme hanno preso a muoversi, sono
    strisciate verso le loro caviglie e li hanno morsi. - Ansimò nel silenzio. - Vane sono
    state le successive pallottole finché non li hanno centrati alla testa. Ma non era
    finita. Soccorsi dai commilitoni, i feriti nel frattempo erano cambiati, e hanno azzannato
    i loro compagni come cani rabbiosi. I morsi avevano passato... la fame.
  - Perché ci racconti queste fandonie, fratello? - gridò uno dalla folla.
  - Perché io ero là. Ero tra quei dieci ebrei. - Sputò a terra un fiotto di sangue. - Ho
  solo avuto laccortezza di trattenere la rabbia e nascondermi mentre gli altri
  tentavano di sbranare i loro carnefici. Così ho pensato e sono giunto a una conclusione:
  la causa sono gli esperimenti, il siero che hanno iniettato a molti di noi... me compreso.
  Abrahm fece qualche passo indietro. - Sei una di quelle...
  - ... creature? - lo precedette Josep. - Sì, lo sono. E ora chiedo a voi tutti: come
  preferite morire? Topi da laboratorio... o lupi affamati? - Spalancò la bocca
  sanguinante. - Un morso solo. E domani mangerete il vostro nemico.
  Un lungo e freddo silenzio, poi Abrahm si scoprì il braccio e glielo offrì.
  E fu tempo di giustizia, ad Auschwitz.