Quattro fantasmi

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4

Mi viene a trovare ogni notte. Si insinua in quella zona franca tra la fine di un sogno e l’inizio del prossimo. Se ne sta in piedi davanti al mio letto, con la mani sui fianchi, e uno strano vapore che gli esce dalle narici. All’inizio mi fissa senza dire una parola. Mi ascolta chiedergli chi è, da dove viene, come è entrato. Allora emette quella sua risata. Lunga, puzzolente, con quelle che sembrano essere le mascelle completamente aperte. Nonostante il freddo io attacco a sudare e mi metto a sedere sul letto, la schiena poggiata contro la spalliera. Chi sei, insomma? seguito a chiedergli mentre lui continua a ridere. Perché non mi lasci in pace? Frigno, chi ti manda?

Poi la smette di ridere. Torna a guardarmi serio. I suoi occhi cambiano colore ogni minuto che passa. Il vapore che gli esce dalle narici è di un giallo malato. A quel punto inizia a trasformarsi. È il momento peggiore in assoluto.
Diventa Martino, il bambino che alle elementari mi picchiava un giorno sì e l’altro pure. Che con i suoi pugni in pancia mi mozzava il respiro e mi urlava in faccia “fa male? FA MALE SÌ O NO?”
Diventa Gloria, la prima ragazza con cui sono uscito. Avevo quattordici anni. Non avevo mai baciato nessuno. È vestita allo stesso modo di quella sera. Quando come se nulla fosse respinse il mio bacio e disse: “No. Mai.”
E diventa papà. In canottiera. Il petto peloso. Il sigaro all’angolo della bocca. Ha in mano la cinta ripiegata in due. La barba ispida di quando non se la faceva da giorni. Mi guarda nel modo in cui mi guardava dopo avere bevuto, quando reputava necessario somministrarmi una dose supplementare di educazione.
Poi, alla fine, diventa la cosa peggiore di tutte: me.

Stefano Amato