Delirio

Il soffitto della mia camera è del colore delle nuvole notturne, quel grigio annacquato simile alla tonalità della collana di perle di mia moglie, quella che amava indossare nei giorni di festa. Mi sembra di fissare una notte sofficemente velata. C’è una tale silenzio oggi che quasi mi fischiano le orecchie, una calma ferma e inodore. Il calpestio di zoccoli nel corridoio, l’aria intrisa di disinfettante, il chiacchiericcio lontano di qualche inserviente... nulla di tutto questo. Io e il grillo nero e giallo che mi si è posato sulla spalla. Era sul comodino accanto al letto fino a poco tempo fa. Ha antenne sottili come filo da pesca e muove le zampe posteriori, intonando una melodia muta. Percepisco appena lo sfrigolio delle zampette dentellate. E’ così piacevole! Ho sempre adorato i grilli, sono il mio pensiero buono. Lo sento zampettare sul collo, si avvicina al mio orecchio, sussurra qualcosa. Mi ha consigliato forse di seguirlo? Chiudo gli occhi, è l’unico modo che conosco per accontentarlo. Il soffitto è un vago ricordo, oramai. Il grillo striato di giallo e nero mi indica la strada come un cane fedele guida il padrone cieco. E così mi trovo a volteggiare come una foglia d’autunno per le strade della città. Un sogno? Forse. Di solito quando sogno qualcosa di piacevole mi sveglio immediatamente, sarà l’effetto delle medicine. Adesso invece è il mio amico che tiene le redini della mia mente sconquassata e io devo soltanto ascoltarlo. È la mia anima.

Vedo la gente sfilare rapida, come in un formicaio invaso dall’acqua. Vedo gli operai del lavaggio, giù alla stazione di servizio, impegnati a lavare i veicoli con le pistole delle idropulitrici. Sghignazzano allegramente tra di loro, rammentando probabilmente aneddoti volgari. Le lance sputano fango e merda. Getti melmosi e puzzolenti imbrattano carrozzerie luccicanti di auto di lusso. I proprietari poi ringraziano, maneggiando con gli sportelli e inzaccherandosi le maniche e i polsini delle loro costose camice bianche, e partono a tutta velocità lasciando sull’asfalto forme maleodoranti come se fosse appena transitata una mandria di bestiame. Appena dietro i ragazzi del lavaggio c’è una tavola calda. Mi avvicino spronato dal mio amico grillo. Sta danzando sulla mia testa, percepisco un formicolio inebriante. Ad ogni contatto delle sue zampette con il mio cranio sento come delle infiltrazioni benefiche che raggiungono il mio cervello malato. Lo amo.
Giungo a pochi passi dall’ingresso e sbircio dai vetri. Dietro il bancone un cameriere dentro un grembiule verde e cuffia arancione sorride cordialmente ai clienti. Sulla targhetta appesa alla camicia c’è scritto ALFREDO E’ A VOSTRA DISPOSIZIONE. Sul piano del bancone sono esposte forme di pane appena sfornato. Ci sono baguette, ciabatte, pugliesi, micche, toscani. Dalle superfici abbrustolite spuntano zampe di rospi. Si fanno strada tra la mollica umida, annaspano alla ricerca della luce. Casalinghe accaldate nei loro cappotti, trepidanti come bambini eccitati in attesa dei doni la sera di Natale, confabulano tra loro mentre osservano i primi rospi partoriti dalle pagnotte gracidare titubanti. Occhi provenienti da paludi che odorano di marcio fissano quelli di signore spendaccione. Alfredo osserva compiaciuto.
Mi allontano dal vetro. Il grillo mi chiama, dice che è giunto il tempo di tornare nella stanza.
Apro gli occhi e vedo di nuovo il soffitto, buio e ignoto più che mai. Il mio amico di nuovo canta, lo posso sentire nella testa e ora riesco a cadenzarne il ritmo con la lingua. Di solito è come se fosse stata imbalsamata nella bocca. Mi riesce addirittura di sfiorarmi il palato. Le cinghie che mi legano al letto non fanno più male ai polsi e al torace, le sento soffici. Anche loro sono magnanime stanotte. Nel mio corridoio da schizzato tutto tace e il grillo è tornato sul comodino della camera del manicomio, mio figlio me l’ha portato l’altro giorno. Lui non si è accorto ma io l’ho visto. Dopo tanti anni è tornato a farmi visita. Forse voleva avvisarmi che si è sposato, avrà bisogno di soldi? O era il modo più facile per dirmi addio? Incontrarlo per l’ultima volta senza riuscir a spiccicare parola, non ricorderà nemmeno il tono della mia voce. Sento lacrime imprigionate nel cuore, come passerotti di cristallo intrappolati in una foresta di rovi. Oh, misero me.
Il sapore del sangue. È bollente. Scoprire la consistenza della propria lingua... come una coscia di pollo bollita per troppo tempo.
Il grillo è ancora lì, immobile. Senza vita. Una litania silenziosa a farmi la veglia.

Marco Cattarulla